BRUNO GAMBAROTTA, Tuttolibri - La Stampa 12/2/2011, pagina XI, 12 febbraio 2011
“Dico la verità: cala la satira, vola la passera” - «A me piace la verità. E cerco di raccontarla sempre
“Dico la verità: cala la satira, vola la passera” - «A me piace la verità. E cerco di raccontarla sempre. Anche a costo di mentire». In questa dichiarazione, contenuta in Quando la rucola non c’era , c’è già tutto Enrico Vaime, il suo gusto del paradosso. A Radio 2 ogni domenica Vaime conduce Black Out il programma più longevo (33 anni) della storia della radio e sulla 7 ogni mattina commenta in diretta i fatti del giorno. Nella sua luminosa casa romana sulla via Cassia, negli immediati dintorni del suo 75˚ compleanno, parla delle sue letture, in un pirotecnico divagare di ricordi, aneddoti e folgoranti ritratti di protagonisti e comprimari dello show business . «Dai miei grandi maestri avevo preso furbescamente quanto di più e immediato poteva servirmi. Avevo ancora molto da imparare». Lo scrive nel suo I cretini non sono più quelli di una volta . Su quale sia il primo di questi grandi maestri non possono esserci dubbi, lo gridano le copertine dei suoi due ultimi libri. Su Santi, poeti, naviganti, evasori e badanti , trilogia di memorie, il nostro autore è fotografato mentre legge Lo spettatore addormentato di Ennio Flaiano, che è sua volta l’autore del delizioso disegno utilizzato per il romanzo Era ormai domani, quasi , appena uscito da Aliberti. Perché Flaiano? «Ho avuto la fortuna di conoscerlo, frequentarlo, lavorare con lui». L’ombra di Flaiano, il suo oraziano distacco dalle illusioni, si allungano benefiche su pagine che svelano un memorialista di razza. «Andai da Ennio. Parlare con lui mi faceva sentire intelligente. Di riflesso: l’intelligente era lui. Io assorbivo». Flaiano era del ’10, aveva 26 anni più di Enrico. Marcello Marchesi era del ’12 («l’età di mio padre») e Vaime ha lavorato a lungo anche con lui, disegnandone in più luoghi un ritratto affettuoso e memorabile. Da dove nasce questo bisogno di fare coppia con dei padri? «Sentivo il bisogno di un’autorità a cui appoggiarmi e da cui imparare». Andiamo con ordine, o almeno proviamoci. Le prime letture? «Il nonno si occupava della mia formazione leggendomi brani del Cuore che per un po’ mi fecero singhiozzare. Finché si arriva all’episodio di papà Coretti che accarezza il figlio con la mano ancora calda dalla stretta del re. E qui scoppiai a ridere (come l’infame Franti). Fine delle letture edificanti, ero diventato grande». Altri maestri / amici? «Un altro scrittore amico è stato per me Luciano Bianciardi che ho frequentato al tempo della parabola autodistruttiva seguita al successo de La vita agra . Un testo in particolare è stato per me importante, Il lavoro culturale , mentre, dovendone indicare uno per Flaiano, segnalo il Diario notturno ». Altri autori di riferimento? «Dobbiamo andare nell’America di Mark Twain ( Le avventure di Huckleberry Finn ) e in quella di Jerome D. Salinger ( Il giovane Holden e soprattutto il primo dei Nove racconti ). Da non sottovalutare l’ironica e crudele comicità di Evelyn A. Waugh, non solo per il Il caro estinto ma anche per gli altri titoli meno famosi». Nel suo percorso formativo che posto occupa il teatro? «L’esperienza teatrale è stata per me fondamentale; quando avevo sedici anni, la mia famiglia si trasferisce da Perugia a Napoli, al seguito di mio padre, direttore di banca e in questa città vivo un’intensa stagione di spettatore e non solo». Dopo Perugia e Napoli quali sono state le sue altre città? «Roma e Milano, dove vivrò per 18 anni, arrivandoci come dipendente della Rai, dopo aver vinto un regolare concorso. Dalla Rai mi dimetto, caso più unico che raro, per affrontare il mare aperto del lavoro di autore, senza la rete protettiva del posto fisso. E’ un gesto così marziano che per farmi ricevere dal direttore del personale e fargli controfirmare la lettera di dimissioni, dovrò farmi raccomandare da Giovanni Leone, allora presidente della Camera. Nel corso della mia vita ho firmato in tutto 15 lettere di dimissioni e l’ho fatto ogni volta che cominciavo a sentirmii in gabbia». La sua prima affermazione da autore? «E’ stata una commedia, vincitrice del premio Riccione. Si gareggiava in forma anonima e i giurati l’hanno scelta perché pensavano l’avesse scritta Luciano Bianciardi. Era I piedi al caldo , storia di un gruppo di neo assunti alla Rai. Fu rappresentata due anni dopo, nel 1963, al Festival di Spoleto e subito censurata; c’era un presepio in scena e il vescovo di Spoleto tuonò dal pulpito contro la profanazione». Da allora ha firmato un numero impressionante di lavori, per la radio, la tv, il cinema, la rivista. Come faceva a far passare le sue proposte? «Gli impresari non amano le novità, vogliono andare sul sicuro. Prendi Garinei & Giovannini, copiatori eccelsi. Raccontavo la mia trama e per farla approvare dicevo che l’avevo vista in teatro in Inghilterra. Loro sospiravano: eh, gli inglesi... E la proposta passava. Quante ne ho vendute di commedie inglesi! Era peggio quando il produttore ti convocava ed esordiva dicendo: "Ho un’ idea!". Remigio Paone mi propose di sviluppare un sua idea originale, la storia di un marziano che sbarca in Italia e dopo un po’, scontata la novità, non se lo fila più nessuno. Ma è il Marziano a Roma di Ennio Flaiano, gli dissi. Era appena andato in scena, con un esito disastroso, peraltro. Paone non si scompose: ma il nostro marziano lo facciamo sbarcare a Napoli, è tutta un’ altra storia». E con la televisione? «I dirigenti della Rai si dimostravano interessati alle proposte innovative, persino entusiasti. All’ approvazione seguiva un sospiro... un magari... e la frase finale: purtroppo abbiamo le mani legate. Avresti voluto chiedere: legate da chi? O incitarli: slegale una buona volta queste mani! Negli anni ’80 per quattro anni ho avuto un munifico contratto con le reti antagoniste della Rai e lì la musica era diversa. Facevi una proposta al gran capo, non finivi di esporla e lui: facciamola. Berlusconi era un produttore televisivo bravissimo. Poi ha preso un’ altra strada. Ripeteva spesso: "Ci vorrebbe qualcuno che sapesse consigliarmi. Io di politica non capisco niente". Era vero». Poi arriva il desiderio di fare dei libri. Dopo il lavoro in équipe e su commissione, cos’è per l’esercizio solitario della scrittura? «E’ un modo di spurgare la memoria e i pensieri, come le lumache nella segatura». Dopo la trilogia delle memorie, approda al romanzo. Con un titolo, scusi la sincerità, impossibile da ricordare: «Era ormai domani, quasi». «Il titolo originario era un altro, era Sembra ieri , ma l’aveva già preso De Crescenzo. A mia parziale discolpa va detto che è un romanzo breve». Un vero romanzo di formazione, la storia di un ragazzo di quattordici anni che in una notte d’agosto di tanti anni fa vede in faccia per la prima volta la morte e l’origine del mondo, come la chiamò Courbet in un quadro scandaloso e che lei chiama la passera. «Sì, ma non è un giallo. Io detesto il giallismo che ritorna». Certifico che non è e non potrebbe mai essere scambiato per un giallo, anche se inizia con il suicidio di un uomo che, dimenticandosi di pesare 150 chili, prova ad impiccarsi. A Perugia, mentre in quella stessa domenica 26 agosto 1950 a Torino Cesare Pavese si toglie la vita. E’ una coincidenza voluta? «No, è frutto del caso. O dell’inconscio». E’ lei quel ragazzo di Perugia che nel 1950 ha quattordici anni? «No, anche se questa è una storia vera. Lalla, la ragazza dagli occhi verdi, l’ho rivista recentemente. E’ una vecchia, ma con gli occhi verdi, una cosa che un italiano non si può permettere». Approfitto della sua arrendevolezza e le faccio la madre di tutte le domande: «Cosa pensa della satira oggi?» «Quante ore ho per rispondere?». Cinque secondi «Di solito, alla parola satira si estraggono le pistole. Lei è fortunato, io non ce l’ho» Non vorrà cavarsela con una battuta... «La satira oggi va come tutto il resto, cioè male. Ma chiediamoci: se oggi la satira, nonostante tutto il resto, andasse bene, come ci sentiremmo? Delle merde». Al momento del congedo arriva José, un cane affettuosissimo, arrivato in casa Vaime nel giorno in cui l’Inter ha vinto la terza coppa della stagione. Mi lecca e mi bacia, incurante del fatto che sono un tifoso del Torino.