Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 12 Sabato calendario

IL SECOLO SENZA PACE DI UNA TERRA CONTESA DIVENTATA «SPECIALE» - L’

Italia entrò nella Prima guerra mondiale sulla base di varie rivendicazioni territoriali. Le potenze (Francia, Inghilterra e Russia) con le quali ci si alleava, lasciando la più che trentennale Triplice Alleanza con la Germania e con l’Austria-Ungheria, approvarono le nostre richieste. Alla fine della guerra, conclusasi con la vittoria dell’Italia e dei suoi alleati, le richieste sulle quali ci si era accordati non furono del tutto soddisfatte. La delusione di una gran parte degli italiani fu grande, e ne trasse alimento un risentimento nazionalistico che giocò non poco nell’affermazione del fascismo. I guadagni territoriali dell’Italia furono, tuttavia, notevoli. La superficie del territorio metropolitano passò da 286.000 a 310.000 chilometri quadrati, raggiungendo al passo del Brennero e nel Golfo del Quarnaro («Che Italia chiude e i suoi termini bagna» , diceva Dante) i suoi confini territoriali più sicuri. All’interno di tali confini furono, comunque, comprese minoranze etniche non trascurabili. In Istria si trattava di sloveni e croati, in Alto Adige di austriaci. Si può capire che queste minoranze non ne rimanessero contente. E anche questo è comprensibile sia per gli sloveni e i croati, che passarono dalla sovranità austroungherese a quella italiana, mentre avrebbero voluto far parte del nuovo Stato indipendente, allora denominato Regno serbo-croato-sloveno, e poi Jugoslavia; sia per gli austriaci dell’Alto Adige, che vennero sottratti allora a quella che essi consideravano la loro madre patria. D’altra parte, però, neppure l’Italia poteva essere ragionevolmente ripresa. La Grande Guerra, appena conclusasi, aveva mostrato non solo l’enorme vulnerabilità del confine settentrionale del paese, bensì anche di un confine limitato a quello dell’attuale provincia di Trento. L’inclusione dell’Alto Adige nel territorio nazionale non obbediva peraltro soltanto a questa legittima ragione di sicurezza nazionale. Obbediva anche al criterio del confine geografico, poiché i confini alpini della penisola italica passano appunto al Brennero e non alle strette di Salorno, nel Trentino: compenso già offerto da Vienna all’Italia perché si astenesse dall’entrare in guerra. Perché, dopo aver combattuto e vinto una guerra così sanguinosa, l’Italia avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa di più di quello che avrebbe potuto ottenere senza combattere e senza sacrifici, e rinunciare, così, a un confine geografico più sicuro, inscritto nella natura stessa dei luoghi? Vero è che durante il periodo fascista, il trattamento delle minoranze etniche non fu né dei più equi, né dei più intelligenti, come lo è ogni politica di snazionalizzazione non fondata su basi di una qualche ragionevolezza e lungimiranza. Poi, quando Hitler assicurò formalmente l’accettazione e l’intangibilità del confine del Brennero per il Terzo Reich, fu data la possibilità ai cittadini dell’Alto Adige di optare per la cittadinanza germanica trasferendosi nella Germania nazista, che aveva intanto incorporato l’Austria grazie anche al miope consenso mussoliniano a tale annessione; e gli optanti per la Germania nazista furono allora numerosissimi. In seguito gli optanti del 1938 tornarono largamente nel Bolzanese, tentando invano di ottenere allora il passaggio all’Austria. Il loro movimento autonomistico assunse poi per qualche tempo toni e modi terroristici, che ugualmente non ebbero successo. Intanto, l’Italia dava alla Provincia di Bolzano uno statuto autonomistico amplissimo, nonostante che nel frattempo la popolazione italiana andasse salendo a ben oltre il 30%di quella della provincia, senza riuscire a ottenere un trattamento corrispondente alla generosità italiana verso gli altoatesini di lingua tedesca. Né parliamo dei contributi finanziari, che è poco definire notevoli, stabiliti da Roma per Bolzano. Adesso si dice a Bolzano che a causa della pace del 1919 non possono celebrare il 1861? Bene, ma sarà lecito asserire che si tratta di un atteggiamento di meschina consistenza etica e politica. Gli italiani celebrano il 1861 come il loro accesso alla grande Europa che segnò l’affermazione non solo del principio nazionale, ma, ancor più, del principio di libertà. E per questo, e per il lealismo costituzionale a cui anche gli altoatesini sono tenuti, ci si poteva spettare di meglio.
Giuseppe Galasso