Paolo De Pasquali, Libero 12/2/2011, 12 febbraio 2011
NELLA TESTA DI MATTHIAS
L’INGEGNERE DEL MALE
CHE HA UCCISO LE GEMELLE
Le speranze di ritrovare Alessia e Livia ancora in vita sono ormai ridotte al lumicino. È comunque giusto continuare a cercare le gemelline dappertutto, in ogni anfratto di quei luoghi della Corsica solitamente da sogno, ma non questa volta, lungo le strade tortuose tracciate per loro dalla mente dell’uomo che le ha procreate.
Come può un padre uccidere (perché così egli ha scritto alla moglie) le creature che ha contribuito a mettere al mondo? Contribuito, perché comunque è vero un fatto: sono solo le donne a partorire i figli, che sono realmente parte di esse, e per questo li possono anche uccidere secondo l’ancestrale motto “io ti ho creato, io ti distruggo”. I padri intervengono nella fecondazione, ma i figli non appartengono loro carnalmente. Eppure certi uomini non vogliono lasciare alle madri la terribile prerogativa di uccidere le creature che hanno messo al mondo, ma vogliono farlo con le loro stesse mani. Per riappropriarsi di un’autorità che sentono di aver perso. Sono uomini deboli, fragili, impotenti, che riescono ad esercitare il loro potere in maniera distorta solo attraverso l’uso della violenza su vittime più fragili ed indifese: la moglie e i figli.
Nel caso di Matthias Schepp, ci sono diversi aspetti che colpiscono per la loro drammaticità. Nessun delitto d’impeto, nessuna esplosione improvvisa di una rabbia soppressa. Al contrario, un piano diabolicamente perfetto per metter fine alla vita propria e delle figlie e gettare nella disperazione la moglie e madre: perché quest’ultimo è stato lo scopo vero del suo agire criminale: “annientare” la moglie attraverso l’uccisione dei figli, il bene più prezioso di ogni madre. Una riedizione della Medea “al maschile”.
Si è trattato del doppio figlicidio di un uomo senza futuro, che all’orizzonte prefigurava solo tristezza, desolazione, rovina, per sé e per i suoi cari. E allora meglio una morte indolore per tutti. Cosa lo ha portato a tale determinazione?
Le cause vanno ricercate nel fallimento dell’esistenza di un uomo che non è riuscito a costruire, da buon ingegnere, un famiglia solida, nella quale la sua solitudine potesse trovare alloggio. I pezzi della costruzione c’erano: una moglie carina e intelligente (forse troppo, tanto da superarlo nel campo professionale, evento questo altamente stressante per molti mariti), e due splendide figliolette. Ma egli non è riuscito ad assemblarli. Evidentemente in quel nido felice, non c’era posto per lui, che non è riuscito a ricavarsi un angolo sufficientemente accogliente. Probabilmente perché soffriva di una gravissima depressione, che lo faceva sentire da
tempo non solo fuori dalla sua famiglia ma completamente fuori dal mondo. Schepp era talmente fuori dal consesso umano che nemmeno i suoi genitori, ad autopsia effettuata, reclamano quel che rimane dei suoi resti martoriati. Nessuno vuole quei pezzi di uomo di un “uomo a pezzi”. E nessuna autopsia, nessuna analisi istologica, con buona pace di Lombroso, potrà mai chiarirci il perché Matthias abbia soppresso
le sue figlie. I motivi reconditi del suo atto non li ritroveremo certo nella materia grigia di un cervello lucidissimo in ogni tappa del calvario di una morte data poco alla volta, pensata, prima che attuata. Tutte le sue facoltà mentali, benché oscurate dal male depressivo, nel tessere la trama mortifera, vengono mantenute lucide dall’odio profondo nutrito nei confronti della moglie.
Un piano orchestrato in modo da confondere le acque, da far perdere le tracce, creando un plot degno di un giallo di Agata Christie: l’uomo ha portato le figliolette in traghetto allo scopo di avvelenarle e gettarle fuori dall’imbarcazione, per poi tranquillamente sbarcare da solo, mangiare da solo, ripartire in auto e suicidarsi lasciandosi stritolare da un treno, in un luogo sperduto ed anonimo.
Quello che colpisce è la callida pianificazione del delitto. La possiamo definire “Ingegneria del Male”, la capacità di una mente scientifica, quella di un ingegnere quale era, appunto, lo Schepp, posta al servizio del Male: la ricerca dettagliata su internet delle modalità d’uso dei veleni a scopo omicidiario, la stesura ed invio di lettere in cui, “a puntate”, come in un orribile romanzo d’appendice in stile “grand guignol”, centellina alla moglie/madre frasi che vanno dal desiderio di rivalsa («io e le bambine dobbiamo stare di più insieme») al ricatto amoroso («non posso vivere senza di te, la faccio finita»), fino al tragico epilogo («Le ho uccise»), con nota consolatoria che suona come l’ultima, cinica beffa («non hanno sofferto«). Ecco, la vendetta è consumata, l’uxoricidio perfetto è compiuto, perché una moglie la uccidi “di più” se le ammazzi i figli.