Alessandra Farkas, Corriere della Sera 12/2/2011, 12 febbraio 2011
La vera storia del capitano Achab. Moby Dick e la maledizione dei naufragi - Il suo nome è andato completamente perduto nei libri di storia tanto che le nuove generazioni ignorano che sia lui il vero ispiratore di Moby Dick, il romanzo pubblicato nel 1851 dallo scrittore americano Herman Melville, considerato uno dei massimi capolavori della narrativa statunitense di tutti i tempi
La vera storia del capitano Achab. Moby Dick e la maledizione dei naufragi - Il suo nome è andato completamente perduto nei libri di storia tanto che le nuove generazioni ignorano che sia lui il vero ispiratore di Moby Dick, il romanzo pubblicato nel 1851 dallo scrittore americano Herman Melville, considerato uno dei massimi capolavori della narrativa statunitense di tutti i tempi. Ma a 141 anni dalla sua morte, solo e dimenticato da tutti, l’America sta per render giustizia a George Pollard Jr., il 28enne marinaio che la mattina del 12 agosto 1819 salpò da Nantucket, al comando della vecchia baleniera Essex, destinata alcuni mesi più tardi ad affondare in pieno Oceano Pacifico, al largo delle Isole Galápagos, a causa del devastante attacco di un enorme capodoglio. A differenza della saga del capitano Achab e Ismaele, l’odissea di Pollard non finì lì. Dopo il naufragio, Pollard e la sua ciurma vagarono nell’oceano per settimane a bordo di tre lance, sfiorando l’arcipelago delle Tuamoto e poi l’isola di Henderson, dove trovarono temporaneo rifugio, costretti per sopravvivere a ricorrere al cannibalismo nei confronti dei loro compagni morti e, in un’occasione, all’atroce decisione di tirare a sorte chi tra loro sarebbe stato ucciso per nutrire gli altri. Alla fine Pollard riuscì non solo a sopravvivere ma ottenne anche la guida di un’altra nave: Two Brothers, la stessa che lo aveva tratto in salvo riportandolo a casa. Quando anche quella baleniera affondò, dopo aver urtato le scogliere French Frigate Shoals, a quasi mille chilometri a nordovest da Honolulu, Pollard, miracolato una seconda volta, fu costretto a dire addio all’adorata carriera di mare, passando il resto dei suoi giorni nell’oscurità. Ma a ridar improvvisamente lustro al bistrattato eroe è una scoperta annunciata ieri: a cinque metri in fondo al mare, in una delle zone più inospitali delle acque hawaiane, i sommozzatori hanno riesumato i relitti della Two Brothers. Dozzine di cimeli, tra arpioni, lance, uncini, àncore perfettamente intatte, treppiedi in ferro e calderoni di ghisa dove veniva sciolto il blubber. Ai tempi di Melville questo prodotto — la cui trasformazione in olio avveniva direttamente a bordo delle navi — era molto ricercato per fabbricare candele e come combustibile per le lampade ad olio. Il risultato era una caccia brutale per le balene, ridotte quasi all’estinzione, e per i marinai, costretti a vivere in mare per anni, con razioni da fame e lo spettro della morte costante. Si tratta di una scoperta importante, secondo gli esperti, perché senza precedenti. «All’inizio del XIX secolo, quando Nantucket era la capitale internazionale della caccia alla balena, centinaia di baleniere salparono dalla piccola isola del Massachusetts — racconta Ben Simons, curatore del Nantucket Historical Association —, ma Two Brothers è la prima a riaffiorare dalle acque» . «I nostri archivi sono pieni di diari di bordo che raccontano di disastri in mare — incalza —, ma questo è il primo relitto in carne ed ossa» . A quei tempi le cartine geografiche della zona erano vaghe e inaffidabili e, al timone della Two Brothers, Pollard non ebbe l’aiuto delle stelle, quella notte famigerata, visto che il cielo era completamente coperto. «Dopo tutto quello che aveva passato con l’Essex, ci voleva fegato e bravura per tornare una seconda volta in un mare tanto inospitale. E sopravvivere » , racconta Kelly Gleason, leader della spedizione, convinto che la scoperta «servirà a riparare la reputazione di Pollard» . Due giorni dopo il naufragio, il capitano Pollard fu tratto in salvo. Tornò a Nantucket, dove venne soprannominato Jonah e dove negli anni 50 del XIX secolo ricevette la visita dell’allora trentenne Melville, reduce dalla tiepida accoglienza riservata al suo Moby Dick. Lo scrittore aveva appreso la storia dal giovane figlio del primo uff i c i a l e dell’Essex Owen Chase, che gli fece avere anche una copia del diario del padre, «Narrative of the Most Extraordinary and Distressing Shipwreck of the Whaleship Essex» , per 150 anni la sola memoria diretta di cui si aveva conoscenza. Bisognerà aspettare il 1980 prima che un manoscritto rinvenuto vent’anni prima nel solaio della signora newyorkese Ann Finch portò in luce la trucida testimonianza di Thomas Nickerson, un altro dei superstiti, mozzo quattordicenne di Nantucket alla sua prima esperienza oceanica proprio a bordo dell’Essex.