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 2011  gennaio 07 Venerdì calendario

«ITALIA CORROTTA, PRONTI ALTRI CABLE». INTERVISTA A JULIAN ASSANGE

Davanti al camino con Julian Assange per due ore. Una lunga chiacchierata nella casa di campagna del suo amico giornalista Vaughan Smith. A Ellingham, Bungay, 230 km a est di Londra, nella campagna inglese, è agli arresti domiciliari in vista del processo che domani deciderà sulla richiesta di estradizione da parte della Svezia sulla base di un’accusa per stupro. È la prima volta che incontra giornalisti italiani, con noi Francesco Piccinini di Agoravox. Assange ci perquisisce personalmente. Poi accende il fuoco e si siede in poltrona. Indossa un completo blu e una camicia bianca. Scapigliato e pallido come sempre. Magrissimo.

Julian Assange, secondo il ministro degli Esteri italiano lei è un terrorista che vorrebbe distruggere il mondo.
«Il vostro ministro degli esteri? E come si chiama?».
Franco Frattini.
«Mai sentito, non lo conosco».
Preoccupato per il processo per stupro?
«No. Qualsiasi sarà la sentenza, faremo appello sia noi sia l’accusa. Quindi ricomincerà tutto daccapo».
La lasceranno stare qui, nel caso?
«Dipende. Se perdiamo resterò in Inghilterra. Ma in prigione».
Meglio Ellingham Hall.
«In realtà penso che al massimo andrò in carcere per qualche giorno, poi mi daranno gli arresti domiciliari. Del resto, non sono mica pericoloso».
Wikileaks: andrà avanti anche senza Assange?
«Il problema è economico. Ci sono state bloccate le donazioni, avremmo potuto usare questa popolarità per finanziarci e migliorarci».
Però?
«Ci hanno bloccato i conti».
I prossimi cable che pubblicherete riguarderanno l’universo bancario?
«Sì, ma non posso dire di più, potrei essere denunciato per insider trading».
Berlusconi?
«Non mi piace, ma agli italiani sì. Il problema Berlusconi non è tanto il suo potere politico ed economico, ma come l’ha usato per fare i propri interessi, corrompendo il sistema».
Ci sono altri cable interessanti, per esempio sul rapporto tra Italia e Russia?
«Ci sono riguardo i rapporti tra le compagnie petrolifere e gli Stati. Per esempio la British Petrolium fa affari con l’Iran. Questa è la grande ipocrisia: gli Stati si lamentano dell’Iran e poi ci fanno affari».
Perché ha iniziato il progetto Wikileaks?
«La mia storia viene da lontano. Non è che un giorno mi sono svegliato e ho fatto Wikileaks. Avevo iniziato in Australia una pubblicazione online contro Scientology. Ho scritto vari programmi di elaborazione di immagini, e ho iniziato a interessarmi alla matematica e alla fisica meccanica: per capire le tecnologie bisogna essere capaci di guardare in molte direzioni».
Quindi è stato anche hacker.
«Per un periodo, in Australia, con uno pseudonimo che neanche ricordo più».
Poi ha deciso di dedicarsi alla diffusione delle informazioni.
«Ho iniziato perché troppo spesso i giornalisti hanno rinunciato al loro ruolo di guidare il dibattito pubblico, sollevare delle tematiche, diventando semplicemente delle persone che lo seguono, piuttosto che guidarlo».
È vero che teme molto Israele?
«Sì, mi sembra ovvio anche il perché».
Non è ovvio, invece.
«All’inizio non avevamo tanti file su Israele (presupponendo che altri file siano arrivati dopo l’inizio della pubblicazione dei cable, ndr) e avevamo paura di attacchi che venivano dall’Est Coast degli Usa (il grande bacino del Giudaismo americano, ndr). Se fossimo partiti subito con cable su Paesi più caldi sarebbe stato più facile affondarci. Quello che temevamo di più è che durante il primo periodo potesse accadere qualcosa di brutto a qualcuno di noi o alle nostre fonti. Fortunatamente non è successo. Anche se abbiamo ancora questo timore».
La spaventano di più gli Stati Uniti o Israele?
«È la combinazione di questi due a spaventarci. Anche perché c’è stata una convergenza dei loro interessi sulla guerra in Iraq, sulla vendita di armi, e Bush ha supportato le posizioni di Israele assieme a tutti i suoi amici petrolieri, facendo guadagnare loro più soldi, molti di più».
Cosa pensa degli attacchi hacker che si sono scatenati in vostra difesa? Secondo alcuni stiamo per vivere la Terza Guerra Mondiale online?
«Lo spero».
Come lo spera: è impazzito?
«Al contrario. Intendo dire: auspico una rivoluzione non violenta, senza vittime. Il supporto che abbiamo avuto mi ha colpito. E stiamo diventando sempre più forti. Per esempio, nei giorni più caldi della rivolta in Egitto, siamo riusciti a tenere collegato il 6% della popolazione attraverso un satellite di una grande multinazionale, a loro insaputa ovviamente».
A proposito di Egitto: che idea si è fatto di quello che sta accadendo?
«Soltanto recentemente Mubarak è stato definito un dittatore e ancora oggi Blair se ne è uscito dicendo al mondo: è un grande uomo. Servono commenti?».
L’Occidente chi sostiene davvero?
«Preferiscono Suleiman, direi».
Per quale motivo?
«El Baradei è una brava persona e ha lavorato con l’Ovest, ha studiato e lavorato nelle istituzioni occidentali. Certamente può essere d’aiuto, ma non quanto Suleiman».
La accusano dicendo che il vostro lavoro mette a rischio le persone, che cosa risponde?
«Il rischio che qualcuno possa perdere la vita in relazione alla pubblicazione di questi file c’è. Un giorno non saremo gli unici proprietari di questi dati, ma fino a quel giorno dobbiamo essere cauti nella diffusione di quanto in nostro possesso».
Per tutti gli stati del pianeta, chi è il vero nemico: Julian Assange, Wikileaks, i nuovi cable?
«Per gli Stati Uniti sono io il vero nemico».
Ha paura?
«Molta, moltissima. Io sono a rischio, perché se non verrò punito diventerò un simbolo per tutte le persone che hanno detto no al regime degli Stati Uniti».
Il sospetto è che ci sia qualcuno dietro di lei, dietro Wikileaks: perché fate tutto questo?
«Si vive una sola volta, e se stai lì a guardare la televisione la tua vita scivola via. Quindi è meglio muoversi».
La cosa che più spesso le rimproverano?
«Quella di lavorare contro qualcuno. Invece noi non siamo contro nessuno. Se ci arriva qualcosa contro i talebani, pubblichiamo contro i talebani, se arriva qualcosa contro gli americani pubblichiamo contro gli americani. L’unica cosa di cui ci preoccupiamo è l’autorevolezza della fonte. In questo caso, trattandosi di documenti ufficiali, l’autorevolezza è garantita».