Luca Dello Iacovo, Nòva24 10/2/2011, 10 febbraio 2011
NETNOGRAFIA
Durante il weekend di Capodanno gli iscritti di Facebook hanno condiviso 750 milioni di immagini nel social network: brindisi con gli amici, i primi raggi dell’alba, concerti. Attivando discussioni, commenti e voti. Come in una sorta di mosaico interattivo arricchito in tempo reale. Le immagini digitali sono alla radice del social network. Sette anni fa Mark Zuckerberg era una matricola di Harvard, il più antico ateneo degli Stati Uniti: in una notte setaccia le banche dati del campus universitario per raccogliere le fotografie, poco più grandi di un francobollo, dei volti delle studentesse. E in poche ore pubblica interi archivi in un sito web. Era un’impresa tra la goliardata e la sfida tecnologica. Ma di lì a poco Zuckerberg avrebbe lanciato Facebook: il nome è ispirato agli annuari (“yearbook”) che nei college degli Stati Uniti raccolgono le fotografie degli studenti. Ed è nell’ambiente universitario che affonda le sue radici il successo del social network. All’inizio l’iscrizione era limitata soltanto agli allievi di Harvad: in seguito, è stata estesa agli atenei più prestigiosi degli Usa (la “Ivy League”). Nicole Ellison, ricercatrice della Michigan State university, è stata fra le prime a indagare sull’interesse negli atenei per la condivisione di immagini nelle reti sociali online attraverso interviste con gli studenti: richiedevano meno impegno per la pubblicazione rispetto a un testo scritto ed erano utilizzabili come testimonianza immediata degli avvenimenti e delle relazioni sociali (per esempio, un party). Altre piattaforme come Flickr o Photobucket erano specializzate nella raccolta di immagini e avevano archivi più ricchi. Ma hanno perso rapidamente terreno dopo la rapida ascesa di Facebook, sostenuta dalla partecipazione in massa degli universitari.
Adesso gli iscritti al social network condividono ogni mese più di 3 miliardi di immagini. Sono dati che non hanno paragoni su internet. Ma altre statistiche, segnalate di recente dagli analisti di Royal Pingdom, portano alla luce alcuni frammenti della una gigantesca attività durante il 2010: due miliardi di video visti su YouTube ogni giorno, 107 milioni di miliardi di email inviate, 255 milioni di siti web. Eppure sono ancora poche le ricerche che mirano a comprendere i comportamenti dei gruppi e delle nicchie all’interno dei network online di persone.
“Gli spazi di connessione su internet non possono essere osservati in modo univoco, soltanto con metodi quantitativi: serve un’integrazione con un’analisi sulla qualità delle relazioni sociali”, osserva Giovanni Boccia Artieri, presidente della Laurea in Scienze della comunicazione all’università di Urbino. È il territorio di indagine della netnografia, un approccio etnoantropologico allo studio delle reti online di persone. Con due orientamenti prevalenti: il marketing e il capitale sociale. Facebook, per esempio, ha quasi raggiunto 600 milioni di utenti attivi nel mondo: in Italia sono 18 milioni, e quattro milioni accedono da piattaforme mobili, come smartphone e tablet. Ma restano ancora da esplorare gli ambienti specifici delle interazioni, non astraibili in un contesto indistinto. “Oltre al numero di contatti occorre valutare, per esempio, l’intensità dei legami e le semantiche visuali”, aggiunge Boccia Artieri. Danah Boyd è una ex ricercatrice di Stanford impegnata a seguire l’evoluzione della partecipazione su internet per Microsoft Research. Negli ultimi anni ha esplorato l’identità digitale attraverso lunghe interviste, faccia a faccia con le persone. In un post del suo blog ha richiamato l’attenzione sulle conseguenze della quantità di tempo trascorso online: apre una sorta di “digital divide” tra chi naviga poco e chi, invece, trascorre ore connesso al web, costruendo gruppi trasversali per reddito, genere sessuale, età. Descrive l’emersione degli spazi pubblici connessi (“networked public spaces”), ambienti resi possibili da tecnologie di network che “permettono alla gente di incontrarsi per scopi sociali, culturali, civici e aiutano le persone a connettersi con un mondo oltre gli amici più vicini e la famiglia”, scrive la ricercatrice in un paper ancora in fase di elaborazione, “Social network sites as networked publics”. E, ricorda Danah Boyd, non sono dinamiche limitate ai mondi digitali, ma fanno parte della vita quotidiana.