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 2011  febbraio 10 Giovedì calendario

CANALE DI SUEZ? PREZIOSO È IL GAS - E

se la rivolta egiziana degenerasse a tal punto da paralizzare il canale di Suez? Il dubbio che inquieta i paesi industrializzati di mezzo mondo, e che sta spingendo le quotazioni del petrolio sui mercati, è una possibilità piuttosto remota. Lo strategico stretto, da cui ogni giorno transitano almeno 2 milioni di barili di greggio, è saldamente nelle mani dell’esercito egiziano. «Davvero difficile compiere atti di sabotaggio. È la speculazione a destare l’allarme», ci spiega Ahmed Elsayed Elnaggar, capo economista del center for political and strategic studies del Cairo, analista indipendente e malvisto dal regime.

E il petrolio prodotto in Egitto? Pur improbabile, un’interruzione dell’estrazione non sarebbe poi un danno così rilevante per l’Occidente. Se negli anni 90 l’Egitto era un paese esportatore, il graduale esaurimento dei vecchi pozzi ha fatto crollare la produzione dal picco di 935mila barili al giorno del 1996 ai 650mila del 2010 (rapporto del Dipartimento americano dell’Energia, febbraio 2011). Risultato: complice il forte incremento demografico, oggi l’Egitto consuma più petrolio di quanto ne produce. «Diverse statistiche parlano di export - precisa Elnaggar – ma si tratta di greggio importato da noi, e poi raffinato, che viene trasportato dalla pipeline Sumed che collega Suez al porto di Alessandria, e da lì esportato». L’Egitto, d’altronde, possiede il più grande settore della raffinazione dell’Africa ( 975mila barili/giorno).

Il futuro energetico del paese non si gioca tuttavia sull’oro nero ma sul gas. È il gas naturale a promettere i più grandi ricavi. Il gas a coprire in modo crescente (oggi il 49%) i consumi di energia di un paese di 80 milioni di abitanti. Ed è sempre il gas, sia naturale e liquefatto (Lng), ad attrarre l’interesse dei paesi stranieri. Gli Usa sono i primi importatori di Lng egiziano (35%) seguiti da Spagna (32%) e Francia (13%). È un mercato promettente. Anche perché il paese vanta le terze riserve d’Africa e in 11 anni (dal 1998 al 2009) la produzione di gas naturale è quadruplicata. Ma è il gas naturale a destare le maggiori preoccupazioni. La conferma arriva dall’ultimo sabotaggio, la scorsa settimana, contro il gasdotto del Sinai. Una linea strategica, la cui diramazione sottomarina collega il porto egiziano di Arish a quello israeliano di Asquelon e fornisce a Israele il 40% del suoi consumi. «Questo gasdotto – continua Elnaggar – attraversa all’aperto il Sinai, una zona turbolenta. L’esercito può entrarci solo in accordo con Israele. A proteggere il gasdotto erano le forze della polizia, note per la loro corruzione, che di recente si sono dissolte».

La gestione del gas è poi un argomento che ha sovente provocato il malcontento popolare. «Prendiamo il commercio con Israele – continua Elnaggar -. Nel 2005 fu firmato un contratto per 20 anni che prevedeva la vendita del gas a 2,7 dollari per milione di Btu (British Thermal Unit). Un prezzo molto vantaggioso per Israele. Sul mercato spot un milione di Btu costava più del doppio. E quello dei futures il contratto con scadenza 2006 viaggiava a 13 dollari Pensate che l’accordo, di favore, tra Russia e Ucraina, era di circa 9 dollari». Un’analisi in parte rettificata dall’esperto israeliano Avi Barel: «Il contratto originale con la nostra compagnia elettrica (Iec) firmato nel 2005 - spiega -, fissava i prezzi a 2,75 dollari per milione di Btu. La fornitura iniziò nel 2008, ma nel 2009 l’Egitto rinegoziò i termini e il prezzo fu alzato a 4 dollari, poco meno di quanto vende anche ad altri paesi.

Prezzi parecchio inferiori a quelli di mercato. Legittimo ipotizzare episodi di corruzione? Elnaggar sorride. Gli sfugge un nome: Hussein Salem, potente businessman egiziano molto vicino a Gamal Mubarak, figlio del presidente. Tutt’oggi Salem detiene il 28% dell’Emg (Egyptian Mediterranean Gas) che si occupò dei contratti e della pipeline. Un personaggio oscuro. È lui, secondo diversi media israeliani, l’uomo fermato a Dubai nei giorni scorsi con 500 milioni di dollari. Intuibile perché gli egiziani chiedano da tempo un blocco dell’export di gas.