Vittorio Marchis, Avvenire 10/2/2011, 10 febbraio 2011
LA MACCHINA DA SCRIVERE MEGLIO DEL COMPUTER?
«Era una notte buia e tempestosa»: così cominciavano i racconti che un bracchetto di nome Snoopy scriveva a macchina stando seduto sul tetto della sua cuccia. Tutto era incominciato il 12 luglio 1965 quando il cartoonist Charles Schulz decise di far arrivare a questo protagonista delle sue strisce, i «peanuts», una typewriter. Uno strumento tecnologico allora noto a tutti, che finalmente permetteva al cucciolo di Charlie Brown di comunicare con il mondo, con la parola scritta. Perché - quanti se ne erano accorti ? - Snoopy, che ovviamente era un cane, poteva solo pensare e bene lo evidenziavano le nuvolette dei fumetti che con il loro grafismo si distinguevano da quelle che uscivano dalla bocca degli altri personaggi, umani. Ora con la macchina ’da scrivere’, davvero un deus ex machina , il contatto era finalmente realizzato. Ma la storia di questo ingenium, come lo avrebbero chiamato i filosofi medievali, con una parola destinata a degradarsi nel nostro volgare in «congegno» e a nobilitarsi nell’inglese engine , era incominciata più di cento anni prima quando un avvocato di Novara di nome Giuseppe Ravizza aveva ottenuto nel 1855 un brevetto per un «cembalo scrivano». «Il ticchettio della macchina da scrivere», scriveva Giorgio Manganelli, «nasce dai capricciosi amori di un cembalo estroso e di una mite mitragliatrice giocattolo». Ma poi di macchine «per scrivere» ne erano state sviluppate tante e di tutte le forme, in Europa e in America. Qui era arrivato, accompagnando Galileo Ferraris, un giovane ingegnere di Ivrea, tal Camillo Olivetti, e quando era nel Nuovo Mondo aveva scoperto i successi ottenuti dalle macchine
Underwood . Ritornato in Italia, dopo alcuni tentativi di far decollare un’industria elettrotecnica sulla scia della scienza appresa dal suo maestro, aveva creato il mito della Ico: l’Industria Camillo Olivetti.
All’Esposizione del 1911 la sua macchina da scrivere M1 aveva trionfato. Sui manifesti pubblicitari a presentarla al pubblico c’era Dante Alighieri. E così questo marchingegno aveva permesso di rivoluzionare anche la pubblica amministrazione, mandando in pensione gli scrivani (uomini) e aprendo nuove possibilità di lavoro alle dattilografe (donne). La tecnologia ha spesso contribuito alla liberazione della donna, come lo saranno negli anni Sessanta gli elettrodomestici, e perché allora non ricordare quel bellissimo film di Mario Soldati, intitolato Policarpo De’ Tappetti ufficiale di scrittura, che vinse nel 1959 il David di Donatello e il Premio per la migliore commedia al Festival di Cannes? Il protagonista, Renato Rascel, si scontrava con le nuove tecnologie dell’inizio del XX secolo e sua figlia, una giovanissima Carla Gravina, finalmente acquistava la sua indipendenza intraprendendo la carriera di dattilografa. La Lexikon 80 , la Lettera 22 e soprattutto la Valentina così sono entrate nel mito e lì sono rimaste. Negli anni Ottanta è arrivata l’invasione delle nuove tecnologie elettroniche, che hanno travolto la stessa Olivetti, ma i computer non hanno saputo aprire la porta alla fantasia come aveva fatto la macchina di Snoopy. Quando chi scrive si trovò di fronte a una classe di prima media a spiegare i misteri di questa macchina, tra il pubblico composto da venti ragazzini che mai l’avevano toccata, uno di essi, affetto da sindrome di Down, affermò che era «più bella di un computer, … per due cose». Alla domanda del perché, tra lo stupore di tutti e non da ultimo il mio, disse: «uno, perché non ha la spina e… due perché c’ha dentro la stampante». E così le nuove macchine per scrivere (e non solo) funzionano soltanto se collegate al sistema energetico nazionale e se sono corredate da ricche periferiche.