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 2011  febbraio 09 Mercoledì calendario

Bolzano e l’Italia sempre più lontana - Anche a Bolzano c’è il democratico pasdaran, quello tenue e quello cerchiobottista

Bolzano e l’Italia sempre più lontana - Anche a Bolzano c’è il democratico pasdaran, quello tenue e quello cerchiobottista. «In questo caso la sensibilità del presidente nei confronti di una parte della popolazione non è stata equilibrata, ma le modalità di partecipazione alle manifestazioni di Roma, far pagare alle Regioni 240mila euro per l’affitto degli stand, è un vizio da stato centralista…», sibila poco dopo la giunta il sindaco Pd di Bolzano, Luigi Spagnolli. Più sfumato il vice presidente della provincia, Christian Tommasini, sempre Pd: «ho espresso le mie perplessità al presidente – confessa - ma non voglio urtare la sensibilità del gruppo tedesco…». All’opposto invece il segretario del partito, Antonio Frena: «le parole del presidente sono assolutamente fuori luogo. Non ha il diritto di calpestare le coscienze di tanti cittadini…». Già. Eppure l’ultima sparata di Luis Durnwalder, da 23 anni potente feudatario della Sudtiroler Volkspartei (Svp) e insieme presidentissimo della provincia autonoma di Bolzano («non parteciperemo ai festeggiamenti per il 150esimo dell’Unità d’Italia perché ci sentiamo una minoranza austriaca»), non solo spacca gli «amici» del Pd, da anni in coalizione con il partito/ stato tirolese, ma sta ricacciando Bolzano in un cortocircuito identitario mandando in crisi il vecchio «compromesso etnico» nato nel dopoguerra dall’accordo De Gasperi-Gruber, che fissò l’appartenenza del Sudtirolo all’Italia. All’improvviso l’incastro di minoranze/ maggioranze torna esplosivo: quel 74% di cittadini di lingua tedesca in provincia che diventa il 27% a Bolzano, dove la componente italiana vince 70 a 30 ma è praticamente assente nelle valli. «Siete italiani governati dai tedeschi? Beati voi!», ironizzò una volta Indro Montanelli. In effetti il compromesso continua a galleggiare perché negli anni ha prodotto, non senza clientelismo, efficienza asburgica in terra italica garantendo un Pil pro capite (38.500 euro annui) e una qualità della vita sconosciuta nel resto del paese. Eppure basta leggere la chat dei commenti dell’«Alto Adige», il quotidiano locale, oppure fare due parole con la gente tra piazza Walther e Palazzo Widmann, per riscoprire il cuore di tenebra. «La gente non vive di questi problemi, le nuove generazioni sono più integrate, aumentano i matrimoni misti, ma poi quando si scrive di questi contrasti la gente torna a dividersi», spiega il direttore, Sergio Baraldi. Torna fuori il nodo irrisolto della memoria separata. In realtà, scavando, si scopre che è da un annetto che la Svp batte sul tasto identitario. Peraltro come già in passato, il partitone è abile a sfruttare gli equilibri precari dei governi romani e a far pesare i propri voti. L’ultimo baratto è stato con il ministro Bondi che in cambio dell’appoggio a Berlusconi nell’ultima fiducia di dicembre (la Svp ha 2 deputati e un senatore) ha concesso alla minoranza/maggioranza tedesca di poter storicizzare, a scorno dell’etnia italiana, il monumento della Vittoria, insieme alla rimozione dei relitti del fascismo (il duce a cavallo) che sorgono a Bolzano e dintorni. Poi c’è la vicenda della toponomastica, in cui la Svp punta a cancellare le italianizzazioni compiute dal vecchio senatore Tolomei per conto di Mussolini; la vicenda del nuovo logo del Sud Tirolo, con cui i tedeschi hanno tappezzato la città con scritte in lingua, e infine l’ultimo «nein» ai festeggiamenti per l’Unità. Una virata a destra che sorprende gli osservatori. Durwalder è sempre stato un contadino democristiano burbero, attento a separare la casacca di capo partito dal rango di rappresentante di tutte le etnie, italiana e ladina comprese. Per Umberto Gandini, raffinato traduttore di Kafka e Goethe e conoscitore di cose bolzanine, «il suo avvitamento risponde alla necessità di coprirsi a destra dove la galassia dell’estremismo tedesco sta erodendo consensi (vale il 15%), esprimendo ben 5 consiglieri in provincia». Nel 2013 si vota, e il partitone teme di andare sotto il 50%. Basti dire che Eva Klotz, figlia di George Klotz, il campione dell’irredentismo sudtirolese condannato a 24 anni per terrorismo, ha da poco lasciato la Union fur Sudtirol per fondare un nuovo movimento con cui ha lanciato un referendum per l’autodeterminazione della valle Aurina sul modello catalano. Altri partitini di destra puntano al doppio passaporto mentre su Facebook il gruppo che chiede la secessione dall’Italia sfiora le 10mila amicizie. Insomma dietro al nuovo revanchismo c’è soprattutto questo. Non a caso la Svp, divisa su altri temi, sulle vicende etniche si mostra compatta. In questo gioco perverso si alimenta anche l’estremismo italiano. Unitalia è tornata nei quartieri popolari a dire che la Svp ruba i soldi agli italiani. La stessa Lega, finora marginale, sta crescendo tra gli spaesati (dal 3,7 del 2008 al 5,6% del 2010). «Siamo la Svp degli italiani», è il nuovo mantra. Sfruttando la debolezza di un Pdl che non riesce a scrollarsi il retaggio del vecchio Msi. «Finché c’è benessere il quadro tiene, ma se fossimo come in Bosnia ci saremmo già scannati», ammonisce un imprenditore locale. Gli stessi colleghi tedeschi, raccolti nell’unione industriale presieduta da Stefan Pan (gli Ebner, i Pircher, i Leitner, i Senfter), sanno bene che il conflitto allontanerebbe i turisti. Sono interetnici per definizione. La miglior garanzia. Insieme al bengodi dello statuto speciale. Il dibattito sul federalismo che sta infocando il paese qui è assente. «Manca solo il servizio postale e la polizia, il resto è già tutto devoluto e il 90% delle tasse resta sul territorio. Una vera pacchia», s’illumina un leghista bolzanino. «Potessimo farlo noi…».