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 2011  febbraio 10 Giovedì calendario

Gabriella, fioraia dietro le quinte del Festivalone - Il Festival che sta per esplodere in tv e nelle strade del borgo antico, fra madame impellicciate, ragazzotti tutti uguali e telecamere accese, ha perso da tempo la sua poesia fragile, relegata alla leggenda degli anni ruggenti

Gabriella, fioraia dietro le quinte del Festivalone - Il Festival che sta per esplodere in tv e nelle strade del borgo antico, fra madame impellicciate, ragazzotti tutti uguali e telecamere accese, ha perso da tempo la sua poesia fragile, relegata alla leggenda degli anni ruggenti. Tanto più suona strano che ad accendere una fantasia inattesa, sia oggi la figura più ovvia della vita sanremese, una fioraia. Gabriella Lantero è anzi "la" fioraia, che da quattro anni addobba non il palco dell’Ariston (non si fa più) ma il dietro le quinte e la sala stampa. Inventa, lei, decorazioni stupefacenti che poi di notte qualcuno si porta a brandelli nella trista camera d’albergo: sono così belle, è difficile resistere. Occhioni verde chiaro sotto capelli neri, timida, troppo sensibile, Gabriella ha scritto uno stravagante librone illustrato appena uscito, Floating Flowers , con la prefazione del meno atteso in questo campo, Francesco Guccini. Anche lui stupito dei suoi manufatti, dove la tecnica (che, pure, è ferrea) lascia il posto a un’anima irrequieta. Nel libro, anche riflessioni e ricordi legati più che a una passione, a momenti, a un’arte: con una storia umana che affonda in lontane notti adolescenziali all’Ariston, e alle cene dopospettacolo del Club Tenco. Cara Gabriella, è riduttivo definirla «fioraia»? «Il lavoro dei fioristi non riesco a farlo, non ho tanti contatti. Ormai le persone normali comprano solo per matrimoni e funerali, non per le feste: prima del computer la gente ci pensava, ora hanno paura delle emozioni, non si godono le piccole cose. A San Valentino una volta si mandavano fiori, ora comprano i telefonini. A me piacciono le sorprese, le emozioni, inventarmi la giornata. Ci vuol più forza, ma è più bello credere alle cose impossibili». È stata distratta, o ispirata, dal Club Tenco? «Avevo 14 anni, mia mamma fioraia vendeva ad Amilcare Rambaldi, patron del Tenco. Era un mago, mi faceva sognare. Alla sua rassegna ho conosciuto Benigni non ancora famoso: era venuto in treno e non aveva i soldi per tornare a casa. Un folletto che saltava addosso a tutti. Ho una foto dove lo fa anche con me». Francesco Guccini le ha scritto la prefazione. «Anche se ora lo vedo poco, ci vogliamo bene. È stato lui a istigarmi, a lungo: "tu devi scrivere"». Per addobbare il Festival ci vogliono entrature? «Mi cercano loro, io non ho mai risposto a richiesta di preventivi: non sono capace, preferisco mi dicano cosa vogliono fare, e quanto vogliono spendere». D’inverno lei addobba Sanremo, d’estate le barche dei miliardari. «La prima barca è stata "Octopussy" quella del film di 007, proprietà d’un americano. I miei lavori piacciono agli americani, c’è stato un passaparola, si vede. Decoro lo yacht di Abrahmovic, di Ivana Trump. E si ricorda Marilù Tolo? Ha sposato un ricco messicano, mi cerca sempre quando arriva». Anche Vasco ha la barca a Sanremo. «Lo conosco, ma gli italiani non comprano. Lavoro solo con gli stranieri. Rod Stewart, Hugh Grant quando va a Cannes. Ho preparato composizioni per Sting nella barca in affitto, ma gli ho fatto anche l’albero di Natale per la casa di campagna inglese, con il mio maestro Kenneth Turner». Il suo libro è strano, foto di fiori e della mente. «Il mio editore, dolcissimo, paziente, mi ha invitata poi obbligata. Morandi, che ho incontrato con Guccini da Vito a Bologna, l’ha avuto e mi ha telefonato in questi giorni: "Questo libro è emozionante", mi ha detto». Come ci è finita, a infiorare il G8 di Genova? «Mi ha chiamato un signore conosciuto a Cipressa. Sono andata ma non mi interessava più di tanto. Mi hanno chiamata anche all’Aquila, per il G8, ma ho detto di no perché non mi dava emozioni lavorare per i politici». Ha conosciuto Bush e Chirac. E Bono degli U2. «A Genova, Bono stava sempre su un divanetto, nella nave dove lavoravo e dove dormivano i grandi. Aspettava di vedere i capi di Stato. Lui mi guardava comporre, e mi diceva che i fiori non li guardavano, non dava fiducia a queste persone. L’unico gentile ed elegante, tutto sommato, fu Chirac, al Ducale». Ha qualche idea per il Festival in arrivo? «Ci debbo pensare. L’unica cosa certa, è che il 17 febbraio sarà tutto bianco, rosso, verde, per quest’Italia disorientata: la vogliono dividere, e si festeggia l’Unità».