FRANCESCO MANACORDA, La Stampa 10/2/2011, pagina 28, 10 febbraio 2011
Il futuro di Piazza Affari? Più scambi ma meno potere - Ora lo sviluppo naturale sarebbe una mossa in Asia
Il futuro di Piazza Affari? Più scambi ma meno potere - Ora lo sviluppo naturale sarebbe una mossa in Asia. A meno che non sia una Borsa asiatica a comprare il nuovo soggetto». La battuta di uno dei protagonisti della maxi fusione Londra-Toronto, con l’appendice di Milano, rende bene l’idea di una gara dove il tracciato cambia in continuazione: dalla risposta repentina dell’asse New York-Francoforte, allo sviluppo impetuoso delle Borse orientali - in testa Hong Kong, ma anche Singapore che sta comprando l’australiana Asx - al boom delle piattaforme di trading alternative, come CHI-X che fa ormai oltre il 10% delle transazioni dei maggiori titoli italiani e il 25% delle «blue chips» di Londra. Una gara globale dove, sottolinea l’ad di Borsa Italiana Raffaele Jerusalmi, «si stanno delineando sei o sette grandi gruppi destinati a rimanere. E noi a questo punto ne facciamo parte». Ma anche un processo che si rifletterà inevitabilmente su alcuni aspetti locali. Che cosa accadrà a piazza Affari appena scottata dalla scelta di Prada di andare ad Hong Kong? Saprà sfruttare la sua specializzazione nel reddito fisso, con i mercati Mot (obbligazioni) e Mts (titoli di Stato) e nei servizi di post-trading? O rimarrà ai margini dell’alleanza targata Commonwealth dove perde peso e potere? «Premesso che perseguire una massa critica e sinergie sui costi è ormai irrinunciabile - risponde Massimo Tononi, l’ex banchiere di Goldman Sachs che sarà uno dei tre rappresentanti italiani nel consiglio della nuova Borsa anglo-canadese - penso che sul mercato italiano ci saranno due effetti positivi. Il primo è quello di un aumento della liquidità, alimentata dall’osmosi tra investitori britannici, italiani e adesso anche nordamericani, e le aziende quotate sui rispettivi mercati. Chi va sul mercato potrà essere presente in varie geografie e su fasce orarie diverse. E poi c’è un vantaggio per le competenze italiane sul reddito fisso e sul post-trading, che sono riconosciute dall’accordo e verranno esercitate su scala globale». Anche Jerusalmi pensa che l’esperienza acquisita su Bot e Cct - paradossale ricaduta dell’enorme debito pubblico - «è un’opportunità per esportare il nostro modello sul reddito fisso perchè in Canada non ne esiste uno simile». Benefici che, ovviamente, non spostano per ora di una virgola l’attitudine assai diffidente verso la quotazione delle medie imprese di casa nostra. Anche Stefano Micossi, il direttore generale di Assonime, di recente assai critico sulla fusione Milano-Londra, è positivo sull’operazione. Alla guida dell’associazione delle società per azioni, che è socia di Lse con uno 0,9%, spiega che «questa è un’operazione molto buona per Londra che riesce a sbarcare in Nord America. Se ci sono effetti positivi per Borsa Italiana, anche se non ne vedo di grande entità, uno è di sicuro l’aumento della liquidità e quindi maggiori opportunità per gli emittenti». E i rischi? «Se si creano operatori molto forti essi potrebbero avere la tentazione di sfruttare i clienti», ossia le quotate. Prudente fino a rasentare il gelo è invece il presidente della Consob Giuseppe Vegas, ieri a Milano per un primo incontro con gli operatori della finanza. La Commissione, dice, «prende atto dell’integrazione» e farà sì «che siano mantenuti gli attuali presidi regolamentari e di vigilanza necessari ad assicurare l’integrità dei mercati». Ma «l’attenzione - avverte - sarà rivolta anche a prevenire eventuali svantaggi per gli investitori e gli operatori del mercato italiano». Come a dire che il nuovo asse transatlantico qualche dispiacere a piazza Affari e dintorni potrebbe darlo.