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 2011  febbraio 10 Giovedì calendario

Per suonare nel metrò serve un’assicurazione - South Kensington, undici del mattino, la luce attraversa il tunnel che porta dalla metropolitana al museo a ondate ritmiche di pulviscolo mentre le note di una «fender stratocaster» rimbalzano chiare sulle piastrelle ingiallite

Per suonare nel metrò serve un’assicurazione - South Kensington, undici del mattino, la luce attraversa il tunnel che porta dalla metropolitana al museo a ondate ritmiche di pulviscolo mentre le note di una «fender stratocaster» rimbalzano chiare sulle piastrelle ingiallite. L’acustica è perfetta. Olivia Hardington ha una voce da finale di X Factor con acuti leggermente fuori controllo. Ha 27 anni, un giubbotto di pelle nera e lascia scivolare lunghi capelli rossi sulla schiena. Per cominciare la prima delle sue tre sessioni di due ore ha scelto Neil Young, il suo amuleto. «I want to live, I want to give, I’ve been a miner for a heart of gold». Plotoni indaffarati le passano distrattamente davanti, qualcuno lancia una moneta. «Le canzoni vecchie tirano di più. Le ascolta anche chi non vuole. E’ come se una luce si accendesse nella memoria: ti ricordi quando sei stato giovane?». Piccoli trucchi da artista di strada. E’ questo che fa per vivere. E’ una dei 2.800 buskers autorizzati a esibirsi nella metropolitana di Londra, una platea da tre milioni e mezzo di persone al giorno. Guadagna in modo irregolare. La volta che le è andata peggio ha incassato sei sterline in una sessione, il suo record è di 110 sterline. Appena si sveglia e corre su internet. C’è un sito ufficiale che segnala quali sono le postazioni ancora libere. Ci si iscrive e si lavora. Ognuno porta i suoi strumenti e mette a disposizione la sua arte. «Devi attirare l’attenzione di essersi umani che tendono a ignorarti. Anche il vestito è decisivo, deve essere chiaro che non stai facendo l’elemosina». Fino al 2001 suonare nella metro era vietato. Nel resto della città no, ognuno poteva fare quello che voleva. Ma lì sotto sembrava pericoloso. I musicisti ci andavano lo stesso. Anche Paul McCartney aveva provato a esibirsi in incognito a metà degli anni Ottanta. Si era fatto filmare. Teneva la testa bassa. «When I find myself in times of trouble Mother Mary comes to me speaking words of wisdom let it be». Non se lo filava nessuno. «Nella massa diventi anonimo». Esperienza nuova per lui. Poi, dieci anni fa, è nato il London Underground Busking Scheme. Il Comune ha formato una commissione incaricata di rilasciare i permessi. Ex autisti di treni, amministratori, gente comune. Si mettono lì e ascoltano i candidati. Se sono bravi e hanno un’assicurazione gli danno la licenza. Un meccanismo adottato anche a Covent Garden. Clown, mimi, mangiatori di fuoco. Devono sottoporsi tutti a un esame prima di esibirsi nel piazzale davanti a Saint Paul. Nel profilo del cranio lucido di Danny Harris si rispecchia l’eleganza curvilinea del sax. «Covent Garden è l’università dei buskers. Ma la concorrenza è feroce. Meglio lasciare la città». Attacca con «My Funny Valentine», Chet Baker. Tacchi di donne. Odore di caffè americano. Dall’altra parte della strada operai col casco giallo bucano l’asfalto col martello pneumatico.