MARCELLO SORGI, La Stampa 10/2/2011, pagina 1, 10 febbraio 2011
LO SCENARIO DRAMMATICO DEL ’93-’94
Chi ha vissuto i giorni più drammatici del ’93 e del ’94 - e siamo ancora in tanti a ricordarceli, tra politica, istituzioni, magistratura, giornali e tv - non può evitare di cogliere in quanto sta accadendo una serie di terribili analogie con quel che avvenne già diciassette anni fa.
Le immagini di Berlusconi in tv mentre illustra il deludente elenco dei provvedimenti economici del governo, accompagnato dalle dichiarazioni dei giudici di Milano sull’evidenza delle prove contro di lui, rievocano una serie di sensazioni che fanno presagire una conclusione funesta della crisi in corso.
Anche se non è detto che la Seconda Repubblica si inabissi come la Prima, ed anche se la magistratura non ha puntato sulla classe dirigente nel suo complesso, ma sui discussi comportamenti di un premier, che comunque - ed è la differenza più forte rispetto al passato - rifiuta di dimettersi, nel timore di un nuovo ribaltone, è evidente che lo scenario è lo stesso, se non peggiore.
Scontro a tutti i livelli, Berlusconi contro i giudici (è arrivato a dire di voler processare lo Stato), la sua maggioranza contro la Procura di Milano, il presidente della Camera contro il presidente del Consiglio, l’opposizione contro tutto e tutti, il Capo dello Stato e la Corte Costituzionale alle prese con una situazione che malgrado i loro sforzi potrebbe anche sfuggirgli di mano.
Dove possa portare il confuso ribollire senza criterio del sistema, è difficile dire. Ed altrettanto azzardare quale potrebbe essere il rimedio. Si può solo riflettere su una caratteristica comune a tutti i passaggi più complessi della storia recente, dai quali, a ben guardare, non si è mai usciti attraverso rotture, ma al contrario con forme diverse di continuità. Questo è valso paradossalmente per ogni sedicente rivoluzione ed ogni conseguente evoluzione della vicenda italiana. Dal fascismo alla democrazia, dalla monarchia alla repubblica, e perfino nell’imprevedibile avvento della Seconda Repubblica, gli elementi di ricomposizione del sistema alla fine hanno vinto su quelli di contrapposizione.
Berlusconi è stato in questo senso il prodotto specifico della rivolta anti-sistema nata dall’esplosione della corruzione all’inizio degli Anni Novanta e dall’incoraggiamento rivolto ai giudici di Mani Pulite dalla sinistra superstite del vecchio sistema. Caduto il quale, appunto, il vantaggio politico incassato dai sindaci della stessa sinistra alle elezioni amministrative, fu vanificato dalla scesa in campo, meglio sarebbe dire dall’irruzione, del Cavaliere nel ’94. Un imprenditore solo apparentemente «nuovo», in realtà uomo di garanzia del passato equilibrio anticomunista democristian-socialista, riaggregatosi attorno a lui, e che presto sarebbe stato rimesso in discussione dalle inchieste giudiziarie.
La difficile alternanza realizzatasi tra centrodestra e centrosinistra negli anni successivi confermava ulteriormente tutto ciò: l’Ulivo e l’Unione avendo in realtà molti più punti di contatto con il regime precedente che non il Polo e poi la Casa delle libertà. Ma a questo punto, dato per scontato - pur se non lo è - che Berlusconi sia ormai arrivato a fine corsa e possa resistere fino a un certo punto, se non vuole distruggere il centrodestra creato da se stesso, ci si libera più facilmente di lui organizzando l’assalto all’arma bianca di un fronte unico, magistratura, opposizione, ex-pezzi di maggioranza, o tentando di far emergere all’interno del suo stesso schieramento l’alternativa a un leader fin troppo logorato?
Basandosi sull’esperienza, non c’è dubbio che la seconda strada sia più sicura, mentre la prima si presta ancora una volta al rischio di un consolidamento del Cavaliere in un quadro di crisi congelata. E tuttavia, se si guarda con attenzione all’escalation degli ultimi giorni, è sicuro che ad imporsi già da oggi sarà di nuovo la scelta della finta rivoluzione, contro il premier e il suo governo, contro una maggioranza parlamentare rafforzatasi anche grazie anche alla minacciosa avanzata del giacobinismo, e alla fine, purtroppo, anche contro le nostre martoriate istituzioni.
L’unico che nella sua saggezza ha ben presenti i pericoli della situazione attuale è il presidente Napolitano, a cui tra l’altro toccherà oggi ricevere un Berlusconi infuriato che accusa i magistrati di Milano di essersi trasformati in una cellula rivoluzionaria. Ma basteranno gli appelli quotidiani del Capo dello Stato a trattenerci sull’orlo del baratro in cui rischiamo ormai di precipitare?