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 2011  febbraio 10 Giovedì calendario

QUEI DILETTANTI A CONGRESSO 20 ANNI FA. LA TENTAZIONE DEL RITORNO ALLE ORIGINI

Fu l’origine certificata di un termine entrato a pieno titolo nei più sussiegosi dizionari della lingua italiana, il «celodurismo» . Già, perché il Congresso di fondazione della Lega Nord, tenutosi nel febbraio 1991 nelle brume di Pieve Emanuele, poco a sud di Milano, si concluse con l’urlo dal palco di Umberto Bossi: «Ai partiti romani dico state attenti: la Lega ce l’ha duro, ce l’ha duro…» .
L’ossimoro fisiologico, che richiamava l’eterno mito della condizione ermafrodita, era in realtà un messaggio interno a una platea eterogenea e discorde che veniva a federare cinque movimenti autonomisti regionali (più l’Alleanza Toscana) non privi di loro storia, di orgoglio territoriale e di altalenante consenso. Lì il Senatur, in un clima infuocato, aveva dato il meglio di sé. Usando tutte le armi della tattica politica (approfondite nella solitaria frequentazione del Palazzo parlamentare al quale era stato eletto nel 1987) aveva giocato tra ordini del giorno, tranelli procedurali e norme «transitorie» , non solo per portare ad unità definitiva gruppi regionali diversissimi, ma soprattutto per stabilire un’egemonia addirittura personale sull’ingrossato movimento.
Il dissenso organizzato (soprattutto di veneti e bergamaschi) venne incanalato in una minoranza senza potere reale. E se pure quel Congresso assomigliava (per conciliaboli segreti e manovre di corridoio) a un’ingenua e dilettantesca fotocopia delle grandi assise dei partiti storici, aveva però riconosciuto una prospettiva di marcia che solo il leader della Lega Lombarda, pur spietato e maestro di doppiezza, aveva saputo proporre in maniera convincente.
Ovvero l’abbandono senza rimpianti della dimensione «etnica» (delle Heimat, le piccole patrie, degli idiomi locali, delle gelose tradizioni di appartenenza) per una più vasta dimensione «laica» , e cioè per la protesta e la costruzione di una alternativa politica sul terreno fiscale e del federalismo costituzionale. Con l’obiettivo dichiarato di lavorare per una «Repubblica del Nord» dove (con le omologhe e possibili Centronia e Mediterranea) si sviluppasse al massimo la tendenza concreta all’autogoverno.
Erano le famose «Macroregioni» disegnate dall’autorevolezza di studioso di Gianfranco Miglio, quel profesur amatissimo dai leghisti che regalava rispettabilità scientifica e dignità culturale al verbo urticante e scomposto del tribuno di Cassano Magnago. Un verbo che, nel clima elettrizzato e che «profumava di nuovo» dopo la caduta del Muro e lo scongelamento degli assetti immutabili della Prima Repubblica, appariva seducente e persuasivo nelle plaghe di provincia e nei ceti popolari vogliosi di un’ «altra politica» . Coeva con quel congresso di Pieve Emanuele era la ricerca della Fiom-Cgil (gennaio 1991) dove si ammetteva con preoccupazione che almeno la metà dei metalmeccanici lombardi si ritrovava pienamente nel «sistema di valori» propagandato dalla Lega.
Vent’anni dopo la Lega Nord è il partito più «vecchio» del Parlamento nazionale e, comunque la si pensi, ha segnato la vicenda politica del Paese. Oggi, ben radicata nel complesso sistema del potere politico, sembra per forza di cose «obbligata a ripensare se stessa» . Certo, è molto più ancorata al governo delle istituzioni locali (con 374 sindaci, 26 Province e due Regioni come Piemonte e Veneto) e come «sindacato del territorio» è più portata alla stabilità. Anche perché l’esercito dei suoi amministratori riscuote approvazione quanto più si dimostra capace di muoversi all’insegna di un coriaceo «buon senso» (quasi di antico stampo doroteo).
Ma è sul terreno politico che è sfidata a trovare una via di futuro: è ancora lungo e contrastato, spesso in modi imprevisti, il cammino verso il federalismo compiuto. E «l’igiene» del voto anticipato è una tentazione ricorrente. Tuttavia la fedeltà all’alleanza di governo non è solo un debito morale ma anche un interesse politico, perché finora Berlusconi è stato l’unico taxi disponibile per affermare il progetto di lungo periodo. Eppure c’è, non nascosto, il timore di trovarsi «impiccati al presente» mentre confusamente il Paese trasmette la sensazione di volere «voltare pagina» , pur se non appaiono ancora all’orizzonte i profeti del «nuovo» ...
Lo stesso Bossi ha masticato a lungo Machiavelli, e non solo per lontane letture. E non gli è ignoto il saggio consiglio del segretario fiorentino laddove nei Discorsi sottolinea come, per far vivere qualsiasi realtà collettiva... «è necessario ritirarla spesso verso il suo principio» ... ovvero ricostituire lo spirito delle origini, magari con l’antico e spregiudicato movimentismo...
Giuseppe Baiocchi