Rita Fatiguso, Il Sole 24 Ore 9/2/2011, 9 febbraio 2011
STUDENTI ALLA SCOPERTA DI PECHINO
Relatori i chiarissimi professori Riccardo Zandonini e Guo Qiang Li, Filippo Brunel, venticinquenne di Soraga di Fassa è il primo trentino fresco di laurea in ingegneria civile all’università di Trento e alla Tongji university di Shanghai. La doppia laurea, però, non fa quasi già più notizia: in Italia ci sono diecimila studenti cinesi «dinamici, vivaci, amichevoli, curiosi, simpatici, portatori della cultura cinese», come li definisce l’ambasciatore della Repubblica popolare cinese Ding Wei, mentre di colleghi italiani in Cina ce ne sono cinquemila, la metà. Scambi sempre più intensi, doppie lauree ma anche corsi di lingue, master, winter o summer school, progetti di ricerca. Lì e qui. Impossibile elencarli tutti, quasi tutte le università italiane (ma anche enti, istituzioni, associazioni) hanno aperto alla Cina, partecipando perfino alle loro impegnative fiere itineranti.
Il nuovo rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone, ha voluto fortemente un vice dedicato alla Cina: è il professor Giuliano Noci, classe 1967, coordinatore di tutte le attività del Politecnico in Cina. «La nomina è arrivata da poco - dice il professor Noci – aprire all’estero non è cosa semplice, da anni ormai ci siamo lanciati e per me la Cina non è una novità nè si limita al campus sino-italiano della Tongji di Shanghai».
La Bocconi ha un China desk dal 2002. «A Shanghai c’è un ufficio permanente della Sda che – dice il professor Roberto Donà – coordina scambi continui con la Fudan University. Siamo partner di Ceibs per il Mba e della Tsinghua University. Il quinto anno di scambi ha coinvolto 79 studenti, 45 italiani, 34 cinesi. Siamo nell’Asia Link, e con Assolombarda, Fondazione Italia-Cina, Ice, Banca Popolare di Milano e Ispi, nel Progetto Cina: formare giovani attivi sul mercato cinese».
Anche la Liuc di Castellanza si è mossa da anni. «Ormai raccogliamo già i frutti - rivela il rettore Andrea Taroni - sono più che soddisfatto del tipo di collaborazione, prevalentemente nel settore economico gestionale. Che è il più interessante per questi ragazzi».
«La winter school si è appena chiusa - commenta Fabio Corno, dell’università Bicocca, che ha appena accompagnato in tour, tra le aziende del made in Italy, un manipolo di ragazzi gemellati con l’università di Chongqing -. A luglio ricambieranno loro». Lì, nella più popolosa città cinese c’è anche il Galileo Galilei Italian Institute attivato quattro anni fa con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. «Banca Intesa, Piaggio, Finmeccanica - dice Mattia Bellomi da Chongqing - sono con noi, è un’area a grande sviluppo tecnologico». Ministero degli Affari Esteri e Associazione Uni-Italia, nata dall’intesa tra Fondazione Italia-Cina e Fondazione Cariplo, hanno firmato un accordo per operare nelle ambasciate all’estero proprio con la missione di incrementare qualitativamente (e quantitativamente) gli arrivi di studenti cinesi. «I margini ci sono. Nei primi tre anni - ricorda Alberto Ortolani, segretario generale dell’Associazione – gli iscritti sono passati da 1448 nel 2006-2007 a 4642 nel 2009-2010: un aumento del 220%». «Non me l’aspettavo - dice Renzo Cavalieri, professore di diritto cinese a Cà Foscari, Venezia – siamo una delle sedi storiche degli studi italiani sulla Cina, ci sono 1500 studenti e il numero è in costante aumento soprattutto nel corso di laurea in Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell’Asia. Tradizionalmente, la formazione cafoscarina era dedicata agli italiani che desideravano imparare lingua e cultura cinese. Oggi loro fanno il dottorato qui». Il vento è cambiato. Roberto Grandi, ex prorettore a Bologna, anima storica del Collegio di Cina e sede dell’istituto Confucio, avvisa: «Gli studenti cinesi, a Bologna, sono almeno 400, ma ciò che conta è il bilancio di ciò che portano a casa. Un master, la lingua italiana, una specializzazione. Vi assicuro che è la loro chiave per vincere la feroce concorrenza casalinga».