Francesco Di Frischia, Corriere della Sera 09/02/2011, 9 febbraio 2011
IL NAPOLETANO CHE VUOLE LA CAPITALE PULITA
«Roma città pulita. Voglio Roma pulita! Offerta a piacere! E vi passa la paura...» . Lo slogan lanciato ad alta voce nel traffico del centro storico sorprende romani e turisti. Ma Paolo Di Maio, 33 anni, armato di scopa e paletta, come una casalinga ramazza marciapiedi e strade dal centro alla periferia. Raccoglie cartacce e cicche. E poi le accumula in un secchione bianco dell’immondizia, montato in modo artigianale su un carrello a quattro ruote: indossa una tuta blu da metalmeccanico, barba incolta e capelli neri ingelatinati. Potrebbe assomigliare a un personaggio di una favola moderna, ma con l’ironia di Pulcinella. Non è per caso se nelle sue vene scorre sangue napoletano. E si sa: all’ombra del Vesuvio l’arte di arrangiarsi è scritta nel Dna.
Verso le nove Mario comincia il suo lavoro partendo da via degli Scipioni: racconta che lì un architetto, «un sant’uomo» , lo ha accolto nel suo studio «per non farmi dormire in strada» .
Cammina, cammina, il netturbino speciale arriva verso mezzogiorno a largo Argentina. Il sole splende nel cielo azzurro della capitale: Paolo non si ferma un attimo. Un mozzicone lì, una lattina ammaccata qua. E si mette pure a staccare qualche gomma incollata sul marmo dei marciapiedi. E, se si fatica, si suda anche. Lui, però, sembra non sentire la stanchezza. Ripete in continuazione ad alta voce: «Voglio Roma pulita!» , come ha scritto anche sul secchione bianco con un pennarello nero. E chi lo incrocia sembra apprezzare tanto impegno: qualche negoziante, dopo averlo visto all’opera davanti al locale gli allunga un euro. Un passante si intenerisce e sgancia un altro obolo. «Stamattina un signore, vicino del Senato mi ha dato 15 euro!» , sussurra sgranando gli occhi per la sorpresa. Ma l’idea di «Roma pulita» quando è nata? «Sette giorni fa ho iniziato perché sono senza lavoro— ricorda —. Ho visto un cartellone con su scritto "Roma pulita"e mi è venuta la scintilla. Sono corso a comprare scopa, paletta e secchione. Da sette giorni pulisco la città e questo mi dà da vivere...» . Paolo, per pudore, preferisce non rivelare quanto ha guadagnato in media ogni giorno, ma è contento della sua attività. Le sue parole trasudano malinconia quando guarda al passato: «Non ho nessuno al mondo: sono cresciuto 18 anni in comunità tra la "Città dei ragazzi"alla Pisana e la "Repubblica dei ragazzi"a Civitavecchia. Sono stato anche nella Comunità don Guanella. I miei genitori se ne sono fregati di me, ma io voglio andare avanti lo stesso» . E per andare avanti Paolo ha fatto tanti lavoretti: dal buttafuori in qualche discoteca al cameriere. Nel ’ 99 dice di essere arrivato a Roma «pe cercà fortuna. A rubà non si può andà, ’ uagliò! E ora mi sono messo a pulire la capitale» . «Ho anche dormito nelle baracche: la vita è dura se qualcuno non ti aiuta...».
Il netturbino speciale si riposa un’oretta per la pausa pranzo. Un panino e via. Si riparte. «Se Alemanno mi dà un lavoro va bene. Mi fermo...» . Una ragazza lo nota davanti all’Altare della Patria: «Scusa, ti posso fare una foto?» . «Certo, scatta, scatta» , risponde con prontezza. Anche un carabiniere si incuriosisce: «Scusi, ma che fa?» , domanda il militare. «Tengo Roma pulita: non siete contenti?» , risponde con accento napoletano. Ma Paolo ha dimenticato i documenti nello studio in via degli Scipioni e il carabiniere lo accompagna nella stazione di piazza Venezia per accertamenti. Dopo mezz’ora Mario torna al lavoro. Ma i veri netturbini come vedono la concorrenza? «Quelli dell’Ama mi ringraziano: mi danno pure le buste nere» fa notare con una certa soddisfazione.
A fine giornata, verso le 6 di pomeriggio, la generosità di romani e turisti è tangibile: «La gente apprezza quello che faccio. E mi fa campà: vedete?» . E si sbatte il taschino della tuta, rigonfio di spicci. «Voglio vivere con dignità, umiltà, senza dare fastidio— sottolinea con voce affaticata —. Vorrei un lavoro, un’opportunità. Chiedo troppo?» .
Francesco Di Frischia