Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 09 Mercoledì calendario

LAVORARE ALLA TEDESCA PER GUADAGNARE DI PIU’

Si può ormai parlare di un «modello di business Volkswagen» . Ieri, la casa automobilistica tedesca e il sindacato metalmeccanico hanno firmato un accordo aziendale post-crisi economica che racconta come l’impresa e i lavoratori possano beneficiare insieme di strategie di crescita e di una buona governance aziendale. Dal 1 ° maggio, i centomila dipendenti delle fabbriche della Germania Ovest riceveranno un aumento del 3,2 per cento, più un bonus una tantum di almeno 500 euro, che porta l’aumento sopra il quattro per cento. È in parte recupero dell’inflazione e in parte premio per lo sforzo comune sostenuto nei giorni difficili della recessione.
Soprattutto, l’aumento salariale è il risultato di una strategia ambiziosa: la costruzione di un gruppo capace di essere forte in tutti i segmenti del mercato automobilistico (con una decina di marchi, dal lusso all’utilitaria), in espansione nei Paesi emergenti come in quelli tradizionali ricchi, radicato socialmente e dal punto di vista ingegneristico in quella che sta diventando la Nazione dell’auto, cioè la Germania.
Un quattro per cento di aumento dei salari può sembrare modesto. La richiesta iniziale del sindacato Ig Metall, in fondo, era del sei per cento. In realtà, si tratta di uno degli incrementi più significativi degli scorsi dieci anni, periodo durante il quale i sindacati tedeschi hanno mostrato una moderazione salariale assoluta— commisurata agli incrementi di produttività— che ha fatto sì che la Germania non abbia avuto di fatto aumenti del costo del lavoro per unità di prodotto da quando esiste l’euro.
La Volkswagen ha potuto accettare l’aumento perché il gruppo sta andando benissimo. Dopo avere superato la recessione del 2009— aiutata dal programma di rottamazione statale e dalla possibilità di ridurre l’orario di lavoro— quest’anno ha l’obiettivo di aumentare le vendite globali del cinque per cento: il mese scorso ha dovuto addirittura interrompere la produzione due volte per mancanza di componenti.
Per il 2018 si è data l’ambiziosa meta di diventare il primo gruppo automobilistico mondiale per fatturato, cioè di superare la giapponese Toyota: qualche analista pensa che potrebbe riuscirci già nel 2015. La forza del modello Volkswagen sta nell’avere acquistato marchi importanti e nell’averne sviluppati altri— dalla Porsche all’Audi —, nell’essere penetrata nei mercati emergenti, nell’avere usato la manodopera a costo più basso dell’Europa dell’Est e nell’avere curato le relazioni sindacali, anche grazie al sistema della cogestione.
In più, le riforme del mercato del lavoro introdotte in Germania nei primi anni Duemila le hanno dato flessibilità di manovra. Oggi fa felici tutti, è un modello.
Danilo Taino