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 2011  febbraio 09 Mercoledì calendario

Ghonim Wael

• Il Cairo (Egitto) 23 dicembre 1980. Responsabile marketing per il Medio Oriente e il Nord Africa di Google (sede Dubai), presunto autore dell’appello alla protesta lanciato su Facebook il 25 gennaio 2011 (per commemorare la morte di Khaled Said, massacrato ad Alessandria dopo essere stato arrestato), arrestato il 27 gennaio, fu rilasciato il 7 febbraio • «24 gennaio: “Gli avvertimenti di parenti e amici non mi fermano. Ci sarò per le proteste” . 25 gennaio, ore 15.59: “Stiamo marciando verso il centro, dopo essere stati picchiati dalla polizia”. 15.30: “Andiamo a piazza Tahrir, urlando pane, libertà e dignità”. 23.45: “L’Egitto dopo #Jan25 non sarà più lo stesso, lo abbiamo dimostrato oggi”. 23.46: “Torno a Tahrir. Dormire nelle strade del Cairo, cercando di condividere il dolore di milioni di concittadini”. 26 gennaio: “A tutti gli egiziani, non potete rimanere zitti adesso”. 27 gennaio: “Rivogliamo Twitter, Facebook e gli sms indietro”. 23.07: ”Pregate per #Egypt. Molto preoccupato, sembra che il governo stia preparando un crimine di guerra contro il popolo domani. Siamo pronti a morire”. Le tracce digitali lasciate da Wael Ghonim si interrompono nella notte. Prima di uscire di casa per la grande manifestazione di venerdì 28, non lascia messaggi su Twitter. Dalla strada non può scrivere, la censura del regime ha bloccato le comunicazioni via telefonino [...] i servizi di sicurezza del regime [...] — almeno secondo gli amici e un video pubblicato su YouTube— fermano il giovane quella mattina di venerdì: nel filmato, gli agenti in borghese si muovono al segnale, circondano e isolano un ragazzo con il pizzetto e gli occhiali che sembra Wael, lo trascinano via. [...]» (Davide Frattini, “Corriere della Sera” 7/2/2011) • «Se la piazza cercava un leader, uno pulito, non compromesso col passato, per giunta poco più che ventenne, non violento, capace di commuoversi e piangere lacrime vere in diretta tv [...] forse lo ha trovato [...] è un ragazzo come tanti, barbetta, testa riccioluta, sguardo intelligente. La tv egiziana Dream lo intervista poche ore dopo che lo hanno liberato. Che sia provato lo si legge sulla sua faccia e nei suoi occhi incredibilmente stanchi. Ha iniziato a parlare da appena tre minuti che già gli si incrina la voce, preludio di un pianto dirotto che non tarderà. Racconterà con parole semplici degli estenuanti interrogatori cui lo hanno sottoposto. Del suo ostinato ripetere la verità: “Noi non abbiamo fatto errori, non abbiamo distrutto nulla. Quelli che hanno sbagliato sono quelli che hanno sparato e ucciso i manifestanti”. Ricorderà i 12 lunghissimi giorni passati sempre con gli occhi bendati, a rispondere per ore sempre alle stesse domande: “Qual è il paese straniero che vi ha spinto, chi vi manipola, chi vi dà i soldi?”. E la sua risposta era sempre la stessa. La verità: “La nostra è una protesta spontanea, non c’è nessuno dietro di noi, l’ho ripetuto mille volte, anche al ministro dell’Interno che ho incontrato. Protestiamo contro un potere, contro un partito che ha demolito il nostro paese. E non mi voglio scusare con nessuno. Tutte le nostre azioni sono state pacifiche. Se c’è qualcuno che ha sbagliato, è chi ha derubato l’Egitto e tutti quelli che si rifiutano di lasciare la poltrona”. “Per favore, non fate di me un eroe, i veri eroi di questa storia sono in piazza Tahrir. Per piacere - chiede all’intervistatrice, sconcertata - girate le telecamere e inquadrate quella gente affinché nessuno osi più alzare un dito contro di loro”. Quando poi in studio gli mostrano le foto dei suoi amici morti, Wael ha un attimo di esitazione: “Noi non ci arrendiamo. Basta così, raìs - rivolto a Mubarak, ndr - basta così”. Quindi scoppia in singhiozzi e lascia sconvolto lo studio» (r. c., “la Repubblica” 9/2/2011).