Evelina Santangelo, il Fatto Quotidiano 8/2/2011, 8 febbraio 2011
AASMA, LA PIÙ CORAGGIOSA
Basta collegarsi con il sito di Global Voices (rete internazionale di blogger che informano, traducono e sostengono i citizen media e i blog di ogni parte del mondo) per comprendere un aspetto della rivolta egiziana di cui i mass media parlano poco. Il ruolo delle donne, scese anch’esse in piazza per rivendicare, come dice l’attivista egiziana Nawal El Saadawi “giustizia, libertà, uguaglianza e una vera democrazia, nonché una nuova Costituzione che elimini la discriminazione tra uomini e donne, musulmani e cristiani”. Lo dichiara a gran voce nel video postato su YouTube “la ragazza più coraggiosa d’Egitto”, Asmaa Mahfouz (23 anni, laureata in Business management) scandendo la frase: “La gente vuole abbattere il regime!”, raccontando delle migliaia di manifestanti scesi per le strade al Cairo il 25 gennaio, dicendo un “noi” che contempla tutti gli egiziani senza divisioni di sesso o di classe, né di religione. Proprio quella stessa Asmaa Mahfouz che il 18 gennaio posta-va su Facebook un video in cui esortava in particolare gli uomini egiziani a riempire piazza Tahrir in nome della loro dignità. “Scendete in piazza con me! – diceva – Se rimarrete a casa, sarete colpevoli dinanzi alla nazione e alla vostra gente, e responsabili di quel che accadrà a noi donne per le strade”. Parole che, come sembra, hanno contribuito non poco a dare coraggio. E questo in un paese dove in passato la presenza femminile nelle manifestazioni è stata sempre limitatissima (non più del 10%), per via della paura, paura soprattutto di subire aggressioni sessuali, di cui spesso sono vittime le donne durante le manifestazioni pubbliche. Un fatto straordinario, dunque, che sull’onda della rivolta tunisina dei Gelsomini ha visto scendere nelle piazze egiziane le madri assieme alle figlie. È il caso della studentessa di Legge ventenne dell’Università del Cairo Alia Mustafa El Sadda che, come racconta la blogger Jenna Krajeski nel sito xxfactor, ha partecipato alla protesta assieme alla madre, alla zia e a due sorelle più piccole di 13 e 16 anni, convinta che “dimostrare” fosse “l’unica possibilità” per un cambiamento. Così la “giornata della rabbia”, come gli attivisti online hanno ribattezzato quel 25 gennaio in cui è cominciata la rivolta contro il regime di Mubarak, è diventata anche il giorno che ha avviato la “protesta della purezza”, libera da ipoteche politiche e religiose, e soprattutto da ogni violenza nei confronti delle donne appunto, proprio perché, spiega sempre la Krajeski, la natura popolare e spontanea della sollevazione – in cui hanno giocato un ruolo determinante social network come Facebook e Twitter – ha suscitato in migliaia di egiziani una voglia di partecipazione in vista di un cambiamento reale ma non-violento in senso democratico. Sempre che non prevalgano con la forza gli integralismi certo o che la più grande sollevazione popolare contro il trentennale regime di Mubarak non si traduca, come molti ormai temono, viste le mosse del regime per allontanare la stampa estera, in un bagno di sangue.
Racconta Megan Kearns nel sito Opinioness of the World: “Notte dopo notte, uomini e donne hanno sfidato il coprifuoco imposto dal governo al Cairo, riunendosi in piazza Tahrir, alias piazza della Liberazione. I civili egiziani dicono che non smetteranno di protestare fin quando il presidente Mubarak non si dimetterà. E anche le donne egiziane difenderanno la giustizia. Ma, quando i mass media non mostrano nessuna immagine di donne che partecipano, come se loro non avessero un radicamento nelle rivoluzioni che chiamano a raccolta tutto il popolo, le si cancella dalla storia”. Una storia che, come dimostrano gli ultimi eventi impensabili fino a qualche tempo fa nel mondo arabo, ogni giorno di più esplode fuori palazzi e dalle cancellerie, bypassa i media tradizionali, si organizza nella Rete, magari al grido di una giovanissima studentessa egiziana, una ragazza coraggiosa che nessuno avrebbe mai immaginato... ed è una miopia, anzi, una vera follia, non ascoltare, visto che da lì passa la comprensione delle tensioni nuove che covano in questi nostri tempi dagli equilibri fragili, e anche il nostro comune futuro. Lo sanno benissimo quanti, in piazza ad Alessandria o al Cairo, mostravano manifesti scritti in inglese, perchéleparoled’ordinedellaloro protesta fossero intese dal mondo occidentale (almeno lì dove non ci sono ministri degli Esteri impelagati in “abusi d’ufficio” per stabilire le sorti di fatidiche case a Montecarlo o premier che, contro ogni evidenza, ammirano la saggezza dei dittatori).