Emanuele Piano, il Fatto Quotidiano 9/2/2011, 9 febbraio 2011
PROSSIMA APERTURA: GRAND HOTEL PORTO FLUVIALE
Il sole splende al Porto Fluviale. Ai piedi del gazometro di Roma da quasi otto anni una ex caserma usata come magazzino dell’Aeronautica e abbandonata da 30 anni è diventata la casa di quasi duecento famiglie. Un’occupazione come tante dove chi ha perso tutto ha almeno trovato un tetto sotto cui ricostruire un futuro. All’ingresso una signora marocchina ci apre il portone blindato. Già, perché anche qui vivono persone da tutto il mondo. Giovani precari italiani, migranti di vecchia data ed i ragazzi reduci da Rosarno hanno preso dei vecchi magazzini ed hanno adattato, plasmato e suddiviso i vecchi capannoni militari per farne delle case. Presto però potrebbero essere cacciati perché il Comune di Roma si appresta a vendere questo ed altri stabili a costruttori privati per farne centri commerciali ed hotel di lusso. L’emergenza casa non è contemplata per i contribuenti senza diritto di voto.
Abdul è un ragazzo marocchino. È arrivato in Italia da Marrakesh in Marocco. Lì la vita era tutta un’altra cosa. La sveglia alle dieci. Il tè alla menta con gli amici al bar. Un giro per le vie del centro per accalappiare i turisti e portarli in giro per la sukh, nel negozio di un amico o nel ristorante di un altro. Poi il viaggio in Italia per ricongiungersi con la mamma e la sorella. Il gommone fino alla Spagna, un camion dove nascondersi e l’arrivo a Roma. “Mai prima avevo pensato che ci si dovesse alzare alle quattro per andare a lavorare”. Prima nei mercati rionali, poi in strada ed infine un’attività di commercio regolarizzata per guadagnare il sufficiente per vivere. Ma non basta per affittare una casa. Così Abdul è fra coloro che hanno occupato il Porto Fluviale otto anni e mezzo fa. Nella sua stanza i poster di Totti, gli asciugamani della Roma. “Tutti noi sognavamo l’Europa. Immaginavamo un eldorado di gente ricca e belle macchine. Mia madre mi avvertiva che era diverso. Oggi provo a dirlo ad i miei amici rimasti in Marocco. Mi fanno sì con la testa, ma quel tarlo è difficile da estirpare”.
ANCHE I RAGAZZI di Rosarno erano venuti in Italia per avere un futuro migliore. Mohamed viene dal Mali. Con il suo francese stentato, racconta la sua fuga da un carcere di ribelli Tuareg a Kidal, estremo nord del Paese del Sahel ai confini con il deserto del Sahara. Suo padre era stato ucciso perché aveva rifiutato di partecipare alla ribellione degli uomini blu, venti anni fa. Il figlio rischiava di fare la stessa fine, per questo ha preso la via del deserto. Un camion, le carceri in Libia ed un barcone fino a Lampedusa. Quattro mesi e mezzo in un centro di identificazione ed espulsione che Mohamed chiama “prigione” ed un foglio di via. La ricerca di un lavoro nelle campagne italiane, poi l’arrivo a Rosarno. “Vivevamo in tende peggio che in Africa. Gli italiani ci odiavano, i ragazzini ci tiravano le pietre. Mai avrei pensato di trovarmi in una situazione del genere in Europa”. Ogni mattina lo stesso rituale. La sveglia prima dell’alba, l’arrivo in una piazzola ed i “capo” che negoziavano con i proprietari terrieri la paga giornaliera e quanti avrebbero avuto la “fortuna” di lavorare. Dodici ore per 25 euro, ma anche soltanto 10 euro, per raccogliere arance e mandarini. Poi la goccia nel gennaio scorso. Il razzismo di chi spara sui migranti manco fossero bestie. I giovani africani che sfogano la propria rabbia bruciando copertoni e bloccando la circolazione stradale. La polizia che carica tutti sui pullman senza nemmeno il tempo di prendere i pochi averi. “Ci hanno portato a Crotone e da lì siamo scappati prima di essere rimessi nelle prigioni dei Cie. Poi siamo arrivati a Roma. Dormivamo nel parco di Colle Oppio, ci hanno visto i ragazzi del Coordinamento per la casa e ci hanno ospitato al Porto Fluviale”. Oggi hanno un tetto sotto il quale dormire e la speranza di ottenere l’asilo politico per poter almeno cominciare a lavorare.
Emilia è italiana. Ha un contratto a tempo indeterminato e non dovrebbe essere qui al Porto Fluviale. Invece la crisi ha colpito anche lei. Prima la cassa integrazione e poi un tempo ridotto a metà dal proprio datore di lavoro. Con lo stipendio dimezzato pagare l’affitto è diventato impossibile. Ed ecco che tre anni fa è arrivata nel-l’ex magazzino dell’Aeronautica per farne una casa. Il suo piccolo appartamento ricavato con dei tramezzi dagli hangar abbandona-ti sembra come un qualunque monolocale. Il letto soppalcato, un bagnetto, la cucina a vista ed il salone. Emilia fa parte del Coordinamento per la casa, per dare una seconda opportunità a chi ha perso la prima. Al Porto Fluviale l’acqua è del Sindaco, mentre l’Acea fornisce la corrente gratis quando in molti sarebbero disposti a pagarla. “Non vogliono legalizzare la nostra presenza qui e ci razionano la luce”. Eppure i servizi sociali capitolini fanno sempre più affidamento sulle occupazioni illegali per assorbire chi subisce sfratti. “Questa estate una famiglia di otto persone è stata messa in mezzo ad una strada. Noi abbiamo fatto i picchetti per evitare lo sfratto, ma l’arrivo della polizia non ha potuto impedirlo. I servizi sociali del Municipio ci hanno chiesto di ospitare la famiglia e così abbiamo fatto”. Di fronte ai tagli nemmeno le istituzioni locali riescono più a gestire l’emergenza casa.
EPPURE C’È CHI , come il sindaco di Roma Gianni Alemanno, delle occupazioni non sa che farsene, soprattutto se sono in caserme ed edifici del ministero della Difesa. Anzi, con il più grande “campo trincerato” d’Europa, un patrimonio di un milione e mezzo di metri cubi su 82 ettari di caserme si prepara un business dal valore di circa 2,5 miliardi di euro. Hotel di lusso, centri commerciali ed edilizia per le famiglie dei funzionari di polizia soppianteranno una quindicina di caserme passata dalla Difesa al Comune. Le parole d’ordine del protocollo sottoscritto da Alemanno ed il ministro della Difesa La Russa nel giugno scorso sono “alienare”, “valorizzare” e “variare il piano regolatore” per consentire lucrosi affari ai soli noti del panorama palazzinaro romano. Il 29 ottobre scorso il consiglio comunale ha votato la delibera per la dismissione di 15 caserme.Approvatalavarianteurbanistica, la vendita ai privati e la possibilità di cambio di destinazione d’uso per fare delle residenze private, esercizi commerciali e attività turistico-ricettive. Solo un 20% dei volumi del nostro demanio pubblico, comprato con i soldi dei contribuenti e che sarà (s)venduto ai privati sarà destinato ad edilizia sociale. Il Porto Fluviale è fra gli stabili in vendita. Ad essere alienati, valorizzati e destinati ad altro uso saranno presto anche i suoi occupanti.