Arturo Carlo Quintavalle, Corriere della Sera 08/02/2011, 8 febbraio 2011
ARTE, PINAULT HA SCELTO VENEZIA. SE PURE ARNAULT SBARCASSE IN ITALIA?
Ma credete davvero che il problema del museo di Frank Gehry e della collezione Bernard Arnault, centinaia di opere delle ultime due generazioni, sia solo il confronto fra i tutori del Bois de Boulogne e il grande progettista americano? Non è così. La storia si ripete, in Francia e non solo. Lo sappiamo, Courbet ha impiegato decenni per entrare al Louvre, e anche gli impressionisti e i post-impressionisti hanno subito un ostracismo durato troppi anni. Ma a Parigi c’erano i grandi collezionisti francesi e americani che, agli inizi del ’ 900, hanno cominciato a fare incetta di dipinti e sculture che poi hanno donato alle raccolte pubbliche o riversato in apposite fondazioni, e penso all’Art Institute di Chicago oppure alla Barnes Foundation a Philadelphia. Per questo negli Usa si conserva il più imponente blocco di pittura francese, da Manet a Cézanne, da Van Gogh a Pissarro, da Degas a Gauguin, oltre a capolavori dell’arte italiana dal Futurismo alla Metafisica.
Si sa, negli Stati Uniti le donazioni di opere dai privati ai musei sono costanti per cui le collezioni sono in perenne crescita. E in Europa? Qui sono i galleristi, e i critici a loro legati, a guidare il consenso e fissare valori, e sono i collezionisti a creare le raccolte importanti; così in Francia, con Bernard Arnault e François Pinault. In Italia solo adesso, dopo la Gnam, col Maxxi, lo Stato ha cercato di colmare la grave carenza di arte europea di proprietà pubblica. Certo c’è Rivoli, c’è il Mart, ma parte delle loro opere è in deposito.
Diverso il caso della Germania dove i direttori dei musei hanno guidato le innovazioni del contemporaneo, e diverso ancora il caso dell’Inghilterra con la Tate Modern. Insomma se un Paese vuole documentare l’arte degli ultimi sessant’anni nel mondo o riesce a ottenere donazioni dai collezionisti oppure cancella l’arte del nostro tempo dalla consapevolezza dei cittadini. La battaglia dunque è quella del 1969, a favore o contro il Centre Pompidou, l’invenzione di Renzo Piano con Richard e Sue Rogers che ha trasformato la storia della cultura europea. Speriamo. E chissà che come Pinault ha scelto Venezia anche Arnault non scelga l’Italia.
Arturo Carlo Quintavalle