Adriana Bazzi, Corriere della Sera 08/02/2011, 8 febbraio 2011
LA CURA DELLA SCLEROSI MULTIPLA CHE RICORDA IL CASO DI BELLA — E
su Facebook è già nato il movimento che lo vuole candidare al premio Nobel per la medicina. Paolo Zamboni, inventore di un metodo chirurgico, alternativo ai farmaci, per la cura della sclerosi multipla, ormai conta decine di migliaia di sostenitori nei social network e nei blog. Fra questi c’è anche Nicoletta Mantovani, vedova di Luciano Pavarotti, che da circa vent’anni soffre di questa malattia e ha appena annunciato, in interviste al Resto del Carlino e a Gente, di volersi sottoporre all’intervento ideato dal chirurgo ferrarese e di essere già in lista d’attesa, con altre migliaia di pazienti, italiani e stranieri. I tempi cambiano. Luigi Di Bella, il discusso medico modenese che aveva proposto un cocktail di sua invenzione per curare il cancro, aveva acceso le piazze, facendo convergere a Roma, nel marzo del 1998, un esercito di persone, tra cui molti malati, che chiedevano il libero e gratuito accesso alle sue cure. Paolo Zamboni, il ricercatore che ha avuto l’idea, studiando il caso della moglie, di «dilatare» certi vasi sanguigni del cervello per favorire il drenaggio del sangue, è riuscito a mobilitare il popolo di Internet. Secondo la sua ipotesi i malati presentano, quaranta volte più dei sani, un restringimento di questi vasi (in sigla Ccsvi: insufficienza cerebrospinale venosa), responsabile dei sintomi della malattia (che colpisce il sistema nervoso; è caratterizzata da un’infiammazione della mielina, la sostanza che riveste i nervi, e provoca disturbi, come problemi alla vista, perdita di forza muscolare, difficoltà di movimento, che possono progressivamente peggiorare). Una speranza per i malati di sclerosi multipla (sono circa 60 mila in Italia) che adesso stanno lottando per avere accesso a questo intervento e hanno dato vita ad associazioni come Hilarescere e «Ccsvi nella sclerosi multipla onlus» di cui Nicoletta Mantovani è presidente onorario. «Chi si è gia sottoposto all’intervento — ha commentato la Mantovani ha ricominciato a vivere» . Certo, le due vicende sono un po’ diverse (il cancro interessa un numero ben più ampio di persone, la multiterapia Di Bella aveva trovato ben pochi sostenitori nella medicina ufficiale, il vecchio dottore era convinto della sua cura, che poi si è rivelata inefficace e non aveva interesse nella medicina scientifica e nelle verifica sperimentale; Zamboni, invece, partecipa a congressi internazionali dove discute la sua proposta, come è avvenuto qualche mese fa a Göteborg, trovando anche dei sostenitori), ma hanno un elemento in comune: la forza che stanno acquisendo i pazienti nel sostenere il diritto di accesso alle cure, anche quando non sono state sperimentate secondo i canoni della ricerca attuale. E, più in generale, il diritto all’informazioni sulla salute. Di qualsiasi tipo. Un altro esempio: la cura anticancro a base di escozul, il veleno di scorpione prodotto a Cuba. Anche in questo caso l’informazione è arrivata al pubblico attraverso il tam tam di Internet e moltissimi italiani stanno adesso andando a L’Avana nel tentativo di procurarsi la medicina. Così la comunità scientifica e le autorità sanitarie dovranno, in qualche modo, imparare a gestire questi fenomeni: tenendo conto delle richieste dei pazienti, ma anche garantendo una seria sperimentazione scientifica per verificare l’efficacia di una cura. In Italia, quella coordinata dall’Associazione italiana sclerosi multipla partirà ma Zamboni si è dissociato e coordina, invece, uno studio, chiamato Brave Dream, che è sponsorizzato dalla Regione Emilia Romagna e dalle associazioni di pazienti. Ma la voce dei malati, amplificata dal web, e non solo nel caso della sclerosi multipla, sta producendo altri effetti. «Lottiamo — ha detto la Mantovani — contro la casta della neurologia e quella delle case farmaceutiche» . E i siti denunciano gli interessi economici degli uni e degli altri. Ecco due conti: per curare i 60 mila pazienti italiani con i farmaci si spende oltre un miliardo di euro all’anno, mentre la diagnosi e il trattamento dell’insufficienza venosa cerebrospinale costano meno di 5 mila euro. L’impressione è che, davvero, i pazienti riusciranno, sempre più, a condizionare la ricerca scientifica e anche i suoi finanziamenti.
Adriana Bazzi