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 2011  febbraio 08 Martedì calendario

IL SUD SUDAN INDIPENDENTE CON IL 99% DEI VOTI (MA IL DARFUR BRUCIA)

Percentuale bulgara, si diceva una volta per indicare un voto plebiscitario. Adesso si dirà sud-sudanese, con la differenza che quello bulgaro era truccato e questo invece è tutto vero: con il 98,83%dei sì il popolo del Sud Sudan (questo il nome probabile del 193esimo Stato dell’Onu) ha scelto l’indipendenza. Applausi e riconoscimenti da tutto il mondo: Unione Europea, Palazzo di Vetro, Casa Bianca («un’alba nuova» l’ha definita il presidente Obama).
Mentre il vicino Egitto è in crisi, il più grande (e martoriato) Paese dell’Africa si divide ufficialmente e pacificamente in due, dopo una settimana di referendum (dal 9 al 15 gennaio) e un mese di conta culminata nell’annuncio ufficiale di ieri pomeriggio. Non che il risultato fosse incerto. I dubbi riguardavano l’assenso del governo centrale di Khartoum. Che è arrivato chiaro nelle parole del presidente Omar Al Bashir alla tv: «Accettiamo la decisione del popolo del Sud» e (ha aggiunto un ministro) «ci impegniamo a lavorare per risolvere le controversie esistenti» . Che sono spinose: dalla divisione del petrolio (i pozzi a Sud, gli oleodotti a Nord), alla contesa su molte aree di confine.
Khartoum e Giuba, la nuova capitale, hanno tempo fino al 9 luglio per mettersi d’accordo. Esito positivo non scontato (nello scorso week-end nella regione dell’Alto Nilo 50 persone uccise durante gli scontri innescati da uno dei tanti signori della guerra cresciuti in oltre 50 anni di conflitto). Il nuovo Stato è poverissimo (il 90%dei 10 milioni di abitanti vive con meno di un dollaro al giorno) e tutto da curare: un bambino su sei non arriva al suo primo compleanno. Divisioni tribali e corruzione sono mali in agguato per un Paese che ricava il 98%del budget dai 500 mila barili di petrolio venduti. Con lo spettro di folli progetti pubblici, come ridisegnare le città a forma di giganteschi animali: Giuba rinoceronte, Wau giraffa. Costo: 10 miliardi di dollari. Ci sarà tempo per fustigare il nuovo governo. Questo è ancora tempo di festa: ieri al tramonto nelle strade di Giuba — e in un Paese grande quanto la Francia fatto di capanne — la gente ha danzato e sventolato bandiere. Qualcuno avrà intonato il nuovo inno: testo scritto da 49 poeti, musica lenta scelta con uno show tipo X-Factor (a vincere un gruppo di studenti della capitale): «O neri guerrieri, alziamoci in silenzioso rispetto, salutando milioni di martiri che hanno cementato con il loro sangue le fondamenta della nazione» . Il sangue è tornato a scorrere nel vicino Darfur, rimasto sotto il tallone di Khartoum: non è un caso se nell’ultimo mese 40 mila persone si sono aggiunte a milioni di sfollati a causa dei combattimenti tra ribelli e forze governative. Giuba danza, il Darfur ri-brucia. Il presidente Bashir deve sapere, direbbe George Clooney a questo punto, che l’indipendenza del Sud non può farla pagare ai darfuri.
Michele Farina