Christian Rocca, Il Sole 24 Ore 8/2/2011, 8 febbraio 2011
BENVENUTI NELL’ERA INCERTA DEL G-ZERO
Il G-7 non c’è più da tempo. La caduta del Muro di Berlino lo ha reso obsoleto. Il G-8 allargato alla nuova Russia non è più rappresentativo del mondo che cambia. Al suo posto è stato ideato il G-20, il club che avrebbe dovuto coinvolgere le economie emergenti, dal Brasile all’India. Ma l’allargamento alle nuove economie non è mai veramente partito, complice la crisi finanziaria internazionale e l’impossibilità di trovare una soluzione condivisa della governance mondiale. Stessa sorte per il G-2 tra America e Cina: dal vertice sulla Terra di Copenhagen in poi, i due paesi non sono stati capaci di guidare di comune accordo l’agenda politica, anche perché Pechino non ha mai mostrato interesse ad accettare le responsabilità che nascono dall’esercizio della leadership. Sul campo non c’è neanche l’alternativa del G-3 – America, Europa e Giappone – perché agli Stati Uniti mancano le risorse, l’Unione Europea è impegnata nel salvataggio della sua moneta e il Giappone ha numerosi problemi interni.
Viviamo, insomma, nel mondo del G-Zero, scrivono in un saggio pubblicato ieri da Foreign Affairs gli economisti Nouriel Roubini e Ian Bremmer. Roubini è il "dottor catastrofe" che ha previsto la crisi finanziaria del 2008. Bremmer è l’autore di La fine del libero mercato (edizioni Il Sole 24 Ore), un saggio che affronta il tema della guerra ideologica tra la libertà d’impresa e il controllo statale dell’economia.
Nel mondo del G-Zero, spiegano i due studiosi, nessuna nazione, nessun blocco di paesi, nessun leader internazionale ha la forza, la volontà e il peso specifico per guidare la comunità internazionale. Le grandi potenze mondiali, scrivono, hanno messo da parte ogni aspirazione globale. Sono troppo impegnate a risolvere le questioni interne. Il risultato è il ritorno di politiche economiche a tendenza protezionista e populista. Non che le leadership globali del passato siano state sempre efficaci, ma mai come in questa fase, scrivono Roubini e Bremmer, al volante non si vede nessuno.
Il mondo del G-Zero provocherà conflitti, non cooperazione. Secondo il rapporto Top Risk 2011 dell’Eurasia group, quest’anno il rischio di maggiore instabilità globale non è un paese, non è un fatto specifico, non è un evento. Non è nemmeno il caos politico che precede o segue una tornata elettorale in un paese-chiave per gli equilibri geopolitici internazionali. Non è un colpo di stato, non è un conflitto militare. Per la prima volta da quando il rapporto Top Risk viene compilato, il pericolo maggiore è l’assenza di leadership internazionale: il G-Zero, appunto. Un rischio che è addirittura maggiore rispetto al caos nell’Eurozona, alla cybersecurity, alla Cina, alla Corea del Nord, al controllo dei capitali, all’impasse politico-istituzionale negli Stati Uniti, alla situazione in Pakistan, in Messico e nei mercati emergenti.
L’era delle grandi potenze contrapposte è finito. Il mondo unipolare è stato archiviato con l’uscita di George W. Bush dalla Casa Bianca. L’impetuosa ascesa degli altri paesi, the rise of the rest, non c’è stata. Obama ha cominciato la sua presidenza da amministratore del declino americano, contribuendo alla creazione del mondo G-Zero. Ma la crisi in Egitto, la ripresa economica e la difesa della sicurezza internazionale costringono il presidente americano ad assumere il ruolo di leader riluttante del G-1.