PAOLO COLONNELLO, La Stampa 8/2/2011, pagina 17, 8 febbraio 2011
Milano, terrorista torna libero - Il tunisino Adel Ben Mabrouk, terrorista-muhjaiddin finito anni fa nell’inchiesta sugli estremisti di Ansar Al Islam, da ieri è di nuovo un uomo libero, anche se con una condanna virtuale a due anni di reclusione
Milano, terrorista torna libero - Il tunisino Adel Ben Mabrouk, terrorista-muhjaiddin finito anni fa nell’inchiesta sugli estremisti di Ansar Al Islam, da ieri è di nuovo un uomo libero, anche se con una condanna virtuale a due anni di reclusione. Dopo aver passato 7 anni e mezzo nel campo di prigionia di Guantanamo e un anno e mezzo nelle carceri italiane, restituito alla giustizia di Milano in seguito allo smantellamento della struttura cubana e agli accordi siglati da Obama, Mabrouk ha scontato ampiamente la sua pena. Perfino più del dovuto. E soprattutto «in condizioni disumane». Ieri, durante il processo in udienza preliminare davanti al gup Maria Vicidomini, il pm Armando Spataro ha chiesto per lui che venissero applicate le attenuanti generiche affinché si giungesse alla sospensione condizionale della pena, conteggiata in due anni di reclusione. Perchè, ha detto il capo del pool antiterrorismo, «quest’uomo ha subito una detenzione del tutto illegale, secondo trattamenti contrari a ogni regola di democrazia». Il campo di prigionia di Guantanamo, ha lasciato il segno. E per il magistrato che ha condotto l’inchiesta sulle «rendition» della Cia, attraverso il caso del sequestro dell’imam Abu Omar, i principi del diritto, con cui si battè per la sconfitta del terrorismo rosso, vengono prima di ogni altra considerazione. E poi, ha fatto notare Spataro, per i reati di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale come fiancheggiatore di cui era accusato Mabrouk, se fosse stato condannato al massimo della pena, codice alla mano, avrebbe dovuto scontare 7 anni e mezzo di reclusione. Basti pensare che il capo riconosciuto dell’organizzazione in Italia, Abu Imad, è stato condannato a tre anni e mezzo. Mentre tra carcere cubano e carcere italiano, Mabrouk ne ha passati da recluso più di 10. Mabrouk aveva trent’anni quando tagliava barbe e capelli ai fratelli della moschea di viale Jenner. Una vita tranquilla, fin troppo per un ragazzo che sognava un futuro da eroe sotto il segno di Allah. Così, dopo aver simpatizzato per una delle tante sigle del network di Al Qaeda, i filo curdi di Ansar Al Islam, aver contraffatto documenti ed essersi istruito alla scuola di videocassette dei muhjaiddin, partì per l’Afghanistan per arruolarsi in un campo di addestramento al confine col Pakistan: l’utopia era quella di creare una repubblica islamica tra le montagne Kurde. La realtà si rivelò diversa. Era il 2001, e lo schianto delle Torri Gemelle cambiò la geografia del pianeta e il suo destino. Gli americani bombardarono ben presto tutti i campi del Kurdistan afghano e Mabrouk, appena arrivato, scampato per miracolo ai missili Usa, dovette fuggire. Lo catturarono al confine con il Pakistan i soldati di Islamabad e dopo averlo imprigionato per alcuni mesi, nel febbraio del 2002 lo consegnarono agli americani che con un volo lo depositarono nell’enclave «yankee» di Cuba, Guantanamo, la vecchia base della marina militare conquistata alla fine dell’800, assegnata in concessione perpetua all’esercito Usa e trasformata, prima della definitiva chiusura di uno dei più duri campi di prigionia del mondo. E qui, senza processo, Adel Ben Mabrouk è rimasto per quasi 8 lunghissimi anni. Ora è libero ma non si sa bene di andare dove. Con le leggi anticlandestini, è probabile che presto venga emesso per lui un decreto di espulsione.