ALESSANDRO ALVIANI, La Stampa 8/2/2011, pagina 11, 8 febbraio 2011
Quando i soldati tedeschi portavano i capelli lunghi - Avranno anche lottato in epoche diverse, eppure legionari romani, mercenari svizzeri, truppe napoleoniche e lanzichenecchi avevano qualcosa in comune: non sarebbero mai scesi sul campo di battaglia con la zazzera
Quando i soldati tedeschi portavano i capelli lunghi - Avranno anche lottato in epoche diverse, eppure legionari romani, mercenari svizzeri, truppe napoleoniche e lanzichenecchi avevano qualcosa in comune: non sarebbero mai scesi sul campo di battaglia con la zazzera. Per secoli «soldato» e «capelli corti» sono stati un connubio inscindibile. Poi, però, sono arrivati Elvis Presley, i Beatles e il Sessantotto e all’improvviso i barbieri si sono ritrovati senza lavoro persino nelle caserme. Quarant’anni fa la Germania Ovest, un Paese che fino ad allora non aveva brillato per anticonformismo, mise nero su bianco la svolta: l’8 febbraio del 1971 entrava in vigore un decreto che consentiva per la prima volta ai soldati della Bundeswehr di portare i capelli lunghi. A firmarlo, l’allora ministro della Difesa e futuro cancelliere Helmut Schmidt. «Osare più democrazia» era la parola d’ordine lanciata dall’allora cancelliere Willy Brandt. «Osare capelli più lunghi», rispondeva Schmidt, con una buona dose di pragmatismo: «Nel suo modo di presentarsi la Bundeswehr non può ignorare l’evoluzione del gusto collettivo», spiegava il decreto. È la frase che apriva le porte dell’esercito tedesco-occidentale ai capelloni. Un’autentica cesura. «Avere i capelli lunghi fino alle spalle o una pettinatura che sembra femminea, come la “pettinatura alla Beatles”, è vietato anche quando l’acconciatura viene curata», si leggeva nel decreto valido fino ad allora, scritto nell’aprile 1967, quando la protesta studentesca era già arrivata per le strade di Berlino Ovest e i Beatles stavano per pubblicare Sgt. Pepper’s. C’è voluto un politico come Schmidt, che in oltre cinquant’anni di carriera è rimasto fedele allo stesso taglio, per voltar pagina. L’effetto, in una società in maggioranza piccoloborghese, fu devastante. Memorabile la lettera alla Süddeutsche Zeitung di una signora preoccupata che la deriva capellona potesse contagiare anche suo figlio: «Il nostro Holger è stato sempre diligente e ordinato, ora deve prestare il servizio militare e ho paura che si rovini». O lo sfogo dell’allora delegato del governo per le forze armate, Fritz-Rudolf Schultz: da quando è arrivato il nuovo decreto «le truppe sono sporche e trasandate» e «l’ordine e la disciplina nella Bundeswehr sono scese». Schmidt si mostrò sì inamovibile («non m’importa nulla di quello che cresce sulla testa, l’importante è quello che c’è sotto la calotta cranica», disse alla Bild), ma fece un passo falso. Inserì infatti nel decreto l’obbligo per i soldati con la zazzera di "portare una retina per capelli". È la frase che chiuse di nuovo le porte dell’esercito tedesco-occidentale ai capelloni. Nel gergo militare la retina diventò la «rete per le cipolle», mentre dall’estero iniziarono a piovere commenti sarcastici, con le truppe ribattezzate «German Hair Force». Alla fine, malgrado le 740.000 retine già ordinate, la Bundeswehr tornò a chiedere dal maggio 1972 alle reclute di tagliarsi i capelli. Ufficialmente per evitare il diffondersi di pidocchi e infezioni. Oggi i soldati tedeschi devono portare i capelli «tanto corti da non coprire occhi e orecchie». Eccezioni valgono solo per le donne.