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 2011  febbraio 08 Martedì calendario

La Tunisia celebra il suo eroe - Qual è il tallone di Achille della rivoluzione tunisina? Impossibile trovare la risposta nella capitale che pompa energia, dagli universitari di Al Manar ansiosi di riaprire i libri alle ragazze del centro estetico Ahtènes che progettano nuove acconciature come i coiffeur parigini alla caduta di Maria Antonietta

La Tunisia celebra il suo eroe - Qual è il tallone di Achille della rivoluzione tunisina? Impossibile trovare la risposta nella capitale che pompa energia, dagli universitari di Al Manar ansiosi di riaprire i libri alle ragazze del centro estetico Ahtènes che progettano nuove acconciature come i coiffeur parigini alla caduta di Maria Antonietta. Secondo un sondaggio Sigma Conseil, il 97,6% della popolazione ha fiducia nel futuro del Paese. Ma a el Kef, Sidi Bouzid, nelle regioni più periferiche e meno sviluppate i nostalgici di Ben Ali resistono e si continua a sparare. Così, per individuare il punto critico della neodemocrazia maghrebina, conviene aggregarsi alla «Caravanne de Remerciement», la «carovana del ringraziamento» organizzata via Facebook da una quindicina di attivisti, e dirigersi a sud, il cuore di tenebra che ha acceso la rivolta e che potenzialmente potrebbe soffocarla. Tra Tunisi e la cittadina di Sidi Bouzid, dove lo scorso 17 dicembre si è dato fuoco l’ambulante Mohamed Bouazizi, corrono 350 km, sei ore di autobus lungo pianure brulle punteggiate di ulivi, cactus e abitazioni costruite a metà. L’appuntamento è all’alba, tre pullman, un centinaio di automobili e qualche furgone. Il biglietto da 15 dinari (7 euro) comprende il pranzo al sacco, il calendario-poster di Bouazizi e l’adesivo con la bandiera tunisina circondata da una catena di braccia allacciate. «Tra il Nord e il Sud del Paese esiste una differenza enorme in termini di sviluppo ma per la prima volta sono i poveri ad aver cominciato la rivoluzione e noi andiamo a ringraziarli» spiega Med Outale Draief, docente di diritto all’università Ariana e anima dell’iniziativa. Dietro di lui studenti, impiegati e artisti intonano i canti dell’indipendenza dalla Francia che i genitori hanno insegnato loro ripescandoli dalla memoria arrugginita. La prima tappa è un piccolo agglomerato di case nei pressi di Kairouan, la città delle mille moschee ai margini della quale la famiglia del disoccupato Mahmoud vive senza acqua corrente. «Hurria», libertà, urla Mahmoud facendo il segno di vittoria con le dita ma un attimo dopo indica la bocca. Ha fame e la possibilità di dirlo senza rischiare la galera non sazia. Nonostante le bandiere, gli applausi, i baci delle donne, la carovana viaggia a ritroso nel tempo e percorrendo decine di km senza copertura telefonica incontra il Paese che non ha sentito parlare del 3,5% di crescita annua, concentrato sulla costa. Alla periferia di Jelma, la capitale dell’acqua minerale locale, sale a bordo Khalil, 8 anni, scarpe troppo grandi ereditate da più di un fratello maggiore. Posa per la foto, accetta un dattero, prende il microfono e proclama: «Allah u-akbar», Dio è grande. Il pullman, spiazzato, ripete l’invocazione. Houda Kebayer ha appena distribuito il programma della neonata Association Conscience Politique, un centro studi per «preparare i cittadini alla democrazia». Ma Khalil è un bambino e, ripete lo scrittore Walid Soliman, «i ragazzi tunisini, compresi i religiosi, vogliono i jeans e innamorarsi senza limitazioni celesti». Viva il futuro. «Il radicalismo islamico è una minaccia», conferma l’insegnante di francese Selma, basco e pullover dolcevita, in carovana con la figlia Amel e il fidanzato Fadi. Lo stallo economico però lo è ancor di più nel Paese che con la democrazia ha scoperto gli scioperi. Anche perché se alla dogana del porto di Tunisi si incrociano le braccia per migliorare il salario da 400 dinari (circa 200 euro), il malcontento di chi vive al di sotto di 2 dollari al giorno rischia di appagarsi solo nel nome di Dio. «Ci nutriamo con l’erba dei campi come le nostre pecore», afferma Murad, bloccando la strada alla carovana perché visiti le baracche con il pavimento in terra battuta del villaggio Firma, poco distante da Sidi Bouzid. Non c’è nulla di più distante da questa miseria della vetrina della libreria al Kitab di Tunisi coi titoli del momento: La Révolution des Braves di Mohamed Kilani e Quand le peuple réussit di Boujemaa Remili. Eppure è da qui che bisogna partire per frenare le ambizioni degli ayatollah e dei nemici della rivoluzione tunisina. Lo lascia capire il ministro dello sviluppo regionale Mohamed Chabi quando ripete che il problema del paese non sarà trovare creditori, nonostante il declassamento di Moody’s, ma investire il denaro ottenuto. Figure come il nuovo governatore della banca centrale Mustapha Nabli, ex stimato consulente della Banca mondiale e amico del Nobel Stiglitz fanno la spola tra Tunisi, Davos e le capitali della finanza per offrire garanzie. Il pastore Murad sarà la pagella del dopo Ben Ali. La strada è lunga. A Sidi Bouzid, la carovana ha già quasi finito le rose portate in dono ai connazionali meno fortunati e più audaci. Non ce n’è bisogno: la tomba di Bouazizi è un giardino e Busid Animi, l’amico che quel giorno era con lui, non si stanca di raccontare gli ultimi minuti dello Ian Palach tunisino, «morto per la dignità e non per il pane». Il giovane regista Fakhereddine Essraouilia, aiuto di Tornatore nel film Baaria , riprende ogni scena: la città che ringrazia la campagna, gli intellettuali a casa del popolo, una nazione che rivendica la propria estraneità al tribalismo incombente sulle rivoluzioni tipo quella egiziana. «Come ci vedete in Italia?» domanda la studentessa di diritto Boucha Muss. A turno lo domandano tutti sul pullman che torna verso Tunisi. È notte, gli occhi scintillano dall’entusiasmo, la febbre, la preoccupazione per le notizie che arrivano dalle città lontane dove il partito dell’ex presidente, il Rassemblement Constitutionnel Démocratique, resiste sebbene abbia ricevuto dal parlamento il cartellino giallo che prelude la messa al bando. Nei primi giorni della rivoluzione lo spettro dell’instabilità e la razzia dei magazzini al porto di Tunisi ha messo in fuga i businessmen stranieri che ora tornano sperando, come confida un imprenditore italiano, di dover presto fare a meno del rotolo di banconote in tasca a cui li aveva abituati la polizia Ben Ali. «La chiave della transizioneè l’economia» chiosa Mongi Gharbi, caporedattore del quotidiano La Presse . Una delle sue migliori giornaliste, Soaud Bensliman, è più icastica: «Il Paese mi ricorda un film di Elia Suleiman in cui mamma e figlio fissano la pentola a pressione aspettando che esploda». È il momento di mangiare.