MASSIMILIANO PANARARI, La Stampa 8/2/2011, pagina 25, 8 febbraio 2011
Paese che vai toilette che trovi - Davvero ingegnosi i giapponesi, nonostante per anni abbiamo detto che erano bravi solo a copiare
Paese che vai toilette che trovi - Davvero ingegnosi i giapponesi, nonostante per anni abbiamo detto che erano bravi solo a copiare. Prendiamo, per esempio, i bagni; sì proprio quel tipo di bagni, le toilettes, i gabinetti. Il turista o il businessman occidentale in visita a Tokyo sarà sicuramente colpito dal fatto di entrare in bagni dove può trovare un lavandino in cima al water, così da lavarsi le mani subito (senza il rischio di dimenticarsi di questa basilare operazione igienica) e dimezzare l’utilizzo dell’acqua che finisce direttamente nello sciacquone. O dal fatto che alcune toilettes giapponesi sono anche dotate di un pulsante che, schiacciato, fa partire la musica, coprendo il rumore dello sciacquone. Paese che vai, gabinetto che trovi, al punto che è possibile fare un vero e proprio viaggio intorno al mondo attraverso le toilettes, come racconta un libro uscito negli Stati Uniti, tra i più dibattuti nelle recenti cronache culturali. Si tratta di «Toilet: Public Restrooms and the Politcs of Sharing» (New York University Press), una raccolta di 12 saggi scritti da altrettanti storici, sociologi e urbanisti e curata da Laura Norén e dal professore della New York University Harvey Molotch, famoso soprattutto per i suoi studi sulle implicazioni socioculturali degli oggetti della nostra vita quotidiana (in italiano, nel 2005, era uscita per i tipi di Cortina, la sua «Fenomenologia del tostapane»). Come noto, non c’è oggetto di studio, nei Paesi di lingua inglese, che possa sottrarsi al mix di «cultural studies» e storia sociale; e, quindi, di certo non i bagni, specchi per eccellenza dei nostri pudori e timori e di quella «politica della condivisione» che, già difficile di per sé, diventa complicatissima quando ci sono di mezzo i bisogni corporali. Un libro fatto di analisi e di molta ricerca sul campo: Molotch si è immerso nei bagni della metropolitana della Grande Mela e gli altri autori hanno fatto «osservazione partecipante» in varie nazioni asiatiche, dal Paese del Sol levante alle Filippine, dove esistono toilettes per transessuali. Cercare di comprendere la «politica dei bagni» è, quindi, un modo per capire gli atteggiamenti nei riguardi del genere sessuale, delle classi sociali, e della disabilità. La civiltà e la cultura di un popolo si riflettono nel prisma dei suoi servizi igienici e, a leggere il libro (che, del resto, eleva a teoria quello che ci capita nelle esperienze di tutti i giorni), noi occidentali non ci facciamo tutta questa gran bella figura. Da un punto di vista igienico, i nostri water con la ciambella sono meno igienici delle turche; e, però, sedersi, anziché accovacciarsi è un fatto di natura, innanzitutto, culturale. Nasce con i troni dei sovrani, davanti a cui ci si deve inchinare, e quando l’uso di seggiole e poltrone si democratizza, diffondendosi lungo tutta la scala sociale, il sedersi diventa abitudine comune, e gli individui perdono il tono muscolare per accovacciarsi; ecco perché abbiamo delle «sedie» anche all’interno dei bagni. Al tempo stesso, le toilettes evocano questioni di «gender»: i bagni divisi per maschi e femmine costituiscono l’ultimo bastione della separatezza sessuale in società, come quelle dell’Occidente, in cui (almeno a parole) esiste la parità. E, invece, notano gli autori del libro, oltre allo spreco di spazio, producono tensione (se non oppressione) presso tutti coloro che non si riconoscono, a partire dai gay, nella rigida divisione eterosessuale delle toilettes. C’è poi tutta una dimensione, un po’ alla Foucault, che rimanda alla sorveglianza e al problema della privacy di chi fruisce di un gabinetto pubblico, oltre a quella della sicurezza, perché un bagno può essere anche un luogo pericoloso (argomento oggetto dei saggi di alcuni criminologi). Insomma, come suggerisce Molotch, la questione è eminentemente politica: bagni progettati in modo migliore rappresentano un tema di giustizia sociale, e le lunghe file delle donne alle toilettes (cui gli uomini ovviano con intere pareti di orinatoi) sono un tipico esempio di discriminazione di genere. Naturalmente, la parte più difficile consiste nel riuscire a superare uno dei nostri tabù più ancestrali e resistenti: il rapporto dell’umanità con gli escrementi, i nostri veri rifiuti. L’Occidente, pur con tutti i suoi difetti, dovrebbe mettersi alla testa di questa autentica battaglia di civiltà, a partire, non a caso, da città liberal come San Francisco e Seattle, dice Molotch. E se a New York, la città con i cessi mediamente peggiori del pianeta, c’è però, secondo lo studioso, anche la toilette più «cool» del globo (a Bryant Park, con tanto di bouquet di fiori freschi all’ingresso), possiamo ancora sperare di farla in un posto (e in un mondo) migliore.