Cesare Maffi, ItaliaOggi 8/2/2011, 8 febbraio 2011
Quel pasticcio sull’Unità d’Italia - Tutti a casa dal lavoro il 17 marzo prossimo? Emma Marcegaglia se n’è doluta, perché a farne le spese sarebbero le imprese, e in generale tutti i datori di lavoro
Quel pasticcio sull’Unità d’Italia - Tutti a casa dal lavoro il 17 marzo prossimo? Emma Marcegaglia se n’è doluta, perché a farne le spese sarebbero le imprese, e in generale tutti i datori di lavoro. La produzione subirebbe un decremento, eventualmente accresciuto dall’occasione del ponte fornita per cadere il 17 marzo di giovedì. È fatto noto che negli anni bisestili, in cui si lavora un giorno in più, vi sia un incremento della produzione proprio per effetto di quella giornata suppletiva: aumento piccolo fin che si vuole, ma esistente. D’altro canto, il 17 marzo vi saranno incrementi di spesa per le aziende che volessero tenere al lavoro i dipendenti, trattandosi di giornate festive. Ma qual è la disposizione che ha reso festivo il 17 marzo 2011, e soltanto quel giorno di quest’anno? Andiamo a scorrere il comunicato emesso il 28 gennaio dal consiglio dei ministri. Vi si legge: «In apertura dei lavori il Consiglio dei Ministri si è soffermato sugli effetti civili della giornata del 17 marzo 2011, festa nazionale per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Poiché tale qualificazione comporta l’implicita ed eccezionale inclusione della ricorrenza fra quelle ordinariamente festive, il consiglio ha ritenuto obbligatorio di conseguenza (e solo per quest’anno) estendere alla giornata del 17 marzo 2011 le regole in materia di orario festivo, limitazioni su determinati atti giuridici, disciplina che regola l’imbandieramento degli edifici, il trattamento economico da corrispondere ai lavoratori dipendenti e le sanzioni amministrative pecuniarie in caso di inosservanza». Dunque, c’è un’opinione del governo sulla disposizione legislativa, introdotta dall’art. 7-bis del decreto-legge 64 del 2010. Leggiamolo tutto: «Istituzione della festa nazionale per la Celebrazione del 150° anniversario della proclamazione dell’Unità d’Italia. 1. Il giorno 17 marzo 2011, ricorrenza del 150° anniversario della proclamazione dell’Unità d’Italia, è dichiarato festa nazionale. 2. La presidenza del consiglio dei ministri, avvalendosi dell’Unità tecnica di missione di cui all’articolo 14 dell’ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri 19 maggio 2009, n. 3772, sostiene, sulla base degli indirizzi del Comitato dei Ministri ’150 anni dell’Unità d’Italia’ e sentito il Comitato dei Garanti, le iniziative culturali compatibili con il programma delle manifestazioni direttamente connesse alla ricorrenza della festa nazionale. 3. Con decreto del presidente del Consiglio dei ministri sono disciplinate le procedure amministrative per il compimento delle attività previste nel comma 2». Avete notato da qualche parte che si faccia vacanza da scuola, che il giorno sia festivo, che non si lavori? No. In effetti, la stesura pasticciata della disposizione, introdotta dal senato in sede di conversione in legge del decreto, fu dibattuta alla camera. Gli atti preparatori non lasciano dubbio alcuno. Infatti il relatore del provvedimento, il deputato Emerenzio Barbieri, così dichiarò: «Anche a seguito di una serie di colloqui con i colleghi del Comitato ristretto, vorrei precisare, in modo tale da dissipare ogni dubbio, che, come si evince anche dal resoconto sommario dell’audizione del ministro Bondi in commissione, la commissione non presenta emendamenti perché, per come l’art. 7-bis è formulato, non vi sono, comunque, oneri maggiori per la finanza pubblica. Infatti, è festa nazionale, tuttavia il 17 marzo 2011 si andrà a lavorare e i ragazzi andranno a scuola. Tanto dovevo per rendere edotta l’assemblea di ciò che è realmente scritto nell’articolo in oggetto». Chiaro? Chiarissimo: «il 17 marzo si andrà a lavorare e i ragazzi andranno a scuola». Esattamente l’opposto di quel che si legge nel sito ufficiale del governo: «17 marzo 1861-17 marzo 2011. L’Italia compie 150 anni e, quest’anno, per festeggiare l’anniversario il 17 marzo è stata proclamata festa nazionale, con scuole ed uffici chiusi». Dunque, il legislativo ha ritenuto che non si trattasse di una festa con le ordinarie conseguenze dei normali giorni festivi; l’esecutivo ha reputato che si trattasse di una «implicita inclusione» tra le giornate festive. Così assolutamente non è. Tant’è vero che non è stata minimamente modificata, nemmeno con disposizione transitoria (solo per il 17 marzo di quest’anno) la legge, tuttora vigente, che reca «disposizioni in materia di ricorrenze festive» (n. 260 del 1949), che proclama come «festa nazionale» il giorno 2 giugno, e poi elenca, come «giorni festivi, agli effetti della osservanza del completo orario festivo e del divieto di compiere determinati atti giuridici, oltre al giorno della festa nazionale», le domeniche, Capodanno, varie feste religiose, il 25 aprile, il 1° maggio come festa del lavoro ecc. ecc. Se si fosse voluto includervi il 17 maggio 2011, si sarebbe dovuto specificarlo. Quando si reintrodusse, per un solo anno, il 1986, la festa del 2 giugno, che nel 1977 era stata spostata alla prima domenica di giugno, la relativa legge (n. 200 del 1986), specificò: «Per l’anno 1986, 40° anniversario della fondazione della Repubblica, la celebrazione della festa nazionale ha luogo il giorno lunedì 2 giugno. Agli effetti retributivi si applicano le norme vigenti per le festività nazionali». Quando il 2 giugno tornò, a tutti gli effetti, festa, la nuova legge (n. 336 del 2000) fu esplicita: «A decorrere dal 2001 la celebrazione della festa nazionale della repubblica ha nuovamente luogo il 2 giugno di ciascun anno, che pertanto viene ripristinato come giorno festivo». Come si vede, si parla di «giorno festivo». Si dirà: ma, in fondo, potrebbe essere implicito che la dizione «festa nazionale» usata nell’art. 7-bis prima riportato comprenda in sé la natura di un giorno festivo a tutti gli effetti. No, perché la «festa nazionale dei nonni» (si celebra il 2 ottobre, introdotta dalla legge n. 159 del 2005) non è un giorno festivo, pur essendo pomposamente denominata «festa nazionale», in luogo della più appropriata denominazione di «giornata» o simili. Si vedano la «Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace» (12 novembre, legge n. 162 del 2009), il «Giorno del ricordo» per le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata (10 febbraio, legge n. 92 del 2004), la «Giornata nazionale della bandiera» (7 gennaio, legge n. 671 del 1996), la «Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia» (5 maggio, legge n. 41 del 2009), la «Giornata nazionale del Braille» (il 21 febbraio, legge n. 126 del 2007), la «Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare» (12 novembre, legga n. 186 del 2002). Tanto per curiosità, ricordiamo che un dpcm ha riconosciuto la «Giornata mondiale del teatro», da tenersi il 27 marzo. Naturalmente, in nessuna delle date prima ricordate si sta a casa dal lavoro o si chiudono le scuole. È palmare che non basta una sorta d’interpretazione autentica della legge, affidata a un semplice comunicato stampa del consiglio dei ministri. Anche i commi 2 e 3 dell’art. 7-bis consentono al governo d’intervenire in via amministrativa (un comunicato, però, non è un decreto), ma solo limitatamente alle «iniziative culturali». Poiché dalla discussione parlamentare era chiaramente emerso che il 17 marzo 2011 non sarebbe stato un giorno festivo, perché altrimenti si sarebbe determinato un aggravio di spesa pubblica, e poiché il comunicato-legge ancora non dovrebbe essere annoverato tra le fonti del diritto, la strada maestra sarebbe una sola: approvare una disposizione legislativa d’interpretazione autentica dell’art. 7-bis, con la contestuale individuazione del finanziamento. È, infatti, palese che un giorno festivo porti «oneri maggiori per la finanza pubblica», come rammentato (non a titolo personale) dal relatore Barbieri, così come li reca alla finanza privata. Se in questo secondo caso le doglianze della Marcegaglia possono lasciare indifferente governo e parlamento, nel caso della finanza pubblica stupisce che le camere non abbiano contestato l’interpretazione governativa dell’implicito giorno festivo, che cozza con quanto dal parlamento voluto.