ALBERTO MATTIOLI, La Stampa 4/2/2011, pagina 33, 4 febbraio 2011
Addio a Maria Schneider diva dell’“Ultimo Tango” - Lei, che era scontenta di tutto, lo sarebbe sicuramente stata anche dei suoi necrologi
Addio a Maria Schneider diva dell’“Ultimo Tango” - Lei, che era scontenta di tutto, lo sarebbe sicuramente stata anche dei suoi necrologi. Perché per tutti Maria Schneider, morta ieri a Parigi dov’era nata 58 anni fa, è stata, è e resterà l’attrice di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci. E forse nemmeno di un solo film, ma di una sola scena, quella famigerata del burro, quando Marlon Brando la prende per terra in un modo che un manuale per confessori definirebbe «more ferarum», aiutandosi nell’operazione con un panetto di burro (salato, precisano i cinefili). Da qui sensazione, processi, roghi, successo, parodie e soldi per il film e una fama di attrice scandalosa per lei, che scandalosa si sentiva così poco da fuggire da un set di Tinto Brass (era Caligola ) strillando indignata: «Sono un’attrice, non una prostituta!». Eppure quel film la Schneider lo detestò sempre: «Avevo vent’anni e non capivo un bel niente. Brando e Bertolucci mi manipolarono, usandomi senza alcun riguardo». La famosa scena («Mi hanno quasi violentata, le mie lacrime erano lacrime vere, di umiliazione»), poi, fu un’invenzione di Brando: lei «assolse» l’attore, ma continuò ad accusare il regista («Non conosco quest’uomo», disse incontrandolo anni dopo) e a pensare che Ultimo tango fosse tutt’altro che un capolavoro: anzi, parole sue, «un film sopravvalutato». Ieri Bertolucci ha detto che «la sua morte è arrivata troppo presto, prima che io potessi riabbracciarla teneramente, dirle che mi sentivo legato a lei come il primo giorno, e almeno per una volta, chiederle scusa». Dopo quarant’anni... La vita dell’attrice era stata disordinata fin dall’inizio. Nacque nel ‘52 e Schneider era il nome della madre, una modella tedesca, perché il padre, l’attore francese Daniel Gélin, non la riconobbe mai. Per due anni visse ospite di Brigitte Bardot, recitando a teatro e facendo qualche comparsata sul set. Nel ‘72, la grande occasione appunto con Ultimo tango , che peraltro era stato pensato per tutt’altra coppia: Trintignant e la Sanda. I seguiti del Sessantotto imperversavano ancora, ma l’Italia democristiana era ancora viva, vegeta e bigotta. Il film fu accusato di «esasperato pansessualismo fine a se stesso», sequestrato, condannato, ricondannato e infine bruciato sul rogo per sentenza della Cassazione (nel 1976!): in Italia, guardarlo è legale solo dall’87. La Schneider era stata trasformata in quel che non voleva essere: un’icona della liberazione sessuale. E non resse. Per togliersi di dosso l’etichetta di «quella di Ultimo tango » non le bastò nemmeno girare, nel ‘74, Professione reporter di Antonioni accanto a Jack Nicholson, per i critici la sua prova migliore. Frattanto, a forza di passare per scandalosa, la Schneider lo divenne davvero: una lunga e tormentata relazione lesbica, i ricoveri all’ospedale psichiatrico, i tentativi di suicidio, la dipendenza dall’eroina. Scritturata per L’oscuro oggetto del desiderio di Bunuel, sul set resse un giorno solo: «Non volevo più fare la donna oggetto». Col tempo, ritrovò un equilibrio: girò film per la tivù, al cinema fece Jane Eyre con Zeffirelli, incise un disco ed ebbe la soddisfazione di diventare cavaliere des Arts et des Lettres, decorata dal ministro della Cultura francese, Frédéric Mitterand: «Un’attrice che ha saputo incarnare un esempio vivente e tangibile della nostra libertà, e soprattutto di quella delle donne». Placata, pare. E perfino ironica: «Essere una figlia naturale mi ha turbata quand’ero giovane. Oggi c’è la prescrizione». Oppure: «Mi piace cucinare. Ma non uso più il burro, solo olio d’oliva». L’ha uccisa un cancro nella sua Parigi, dove riposerà al Père Lachaise. Finalmente, in eccellente compagnia.