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 2011  febbraio 04 Venerdì calendario

Good bye Palmiro nostalgie riformiste - Parola d’ordine: niente rimpianti. Eppure, tra le righe del supplemento dedicato dalla rivista Le ragioni del socialismo ai novant’anni del Pci, si riaffaccia a sorpresa la nostalgia canaglia

Good bye Palmiro nostalgie riformiste - Parola d’ordine: niente rimpianti. Eppure, tra le righe del supplemento dedicato dalla rivista Le ragioni del socialismo ai novant’anni del Pci, si riaffaccia a sorpresa la nostalgia canaglia. Nostalgia dei partiti, in un’epoca tutta giocata sullo scontro personale, e della loro classe dirigente, passata attraverso severe selezioni interne. Nostalgia della sinistra, anche solo della parola, espunta dal moderno vocabolario politico che prevede solo di essere «democratici» o «popolari» o «a vocazione maggioritaria», ma ha rinunciato del tutto all’idea di una sinistra di governo che si presenti per quel che è. Nostalgia, infine, di un leader come Togliatti, al quale, dopo le mille condanne e archiviazioni fatte già in epoca comunista, adesso si vuol restituire dignità. Fa una certa impressione leggere tutto questo sulle pagine della rivista diretta da Emanuele Macaluso, alla quale fa capo quel che rimane dell’area «migliorista» e filosocialista del Pci. Gli eretici che già dagli Anni Sessanta venivano bacchettati per la discussa proposta del loro leader, Giorgio Amendola, di creare un partito unico della sinistra fondendo Psi e Pci, la minoranza che ebbe il coraggio di contestare Berlinguer e fu definitivamente emarginata con l’avvento di Occhetto, prima, e poi di D’Alema e Veltroni, proprio loro che del comunismo italiano potrebbero dichiararsi vittime, invece lo rivalutano. Scrive Macaluso che non si può cancellare il ruolo di «motore della modernità» assolto dal Pci nel dopoguerra e negli Anni Cinquanta e Sessanta, quando la Dc coniugava la propria supremazia con l’immobilismo: senza il Pci non ci sarebbero state la prima modernizzazione del Paese, l’introduzione di diritti fondamentali dei lavoratori, le grandi trasformazioni sociali, le conquiste dei diritti civili, l’uscita della sinistra dal campo sovietico e la piena adesione all’Occidente e alla Nato. Aggiunge Claudio Petruccioli, a lungo senatore e braccio destro di Occhetto, che la scelta di passare dal Pci al Pds e al Pd non era affatto obbligata. Al momento del crollo della Prima Repubblica, la Dc e la somma di Pci e Psi raccoglievano più o meno la stessa quantità di voti e sarebbe stato tranquillamente possibile impostare un’alternativa, simile a quella che si svolge in molti paesi europei, tra cattolici e socialisti. Invece la strada scelta nel ’94 fu quella dei popolari e della sinistra che si presentavano separatamente ma dalla stessa parte e aprivano la strada a Berlusconi. Secondo Petruccioli l’adesione incondizionata alla campagna contro la partitocrazia, l’illusione di avvantaggiarsi degli effetti di Tangentopoli, oltre all’incapacità di credere nella sinistra di governo, una sinistra come quelle che competono e vincono nel resto d’Europa, hanno portato alla crisi attuale. Crisi di sistema e non del solo Pd, perché un Paese non può vivere per vent’anni appeso solo a Berlusconi e Prodi. L’insieme delle analisi di Ragioni del socialismo è dichiaratamente provocatorio. Nessuno arriva a sostenere che si stava meglio quando si stava peggio (e anzi c’è una severa ricostruzione storica di Luciano Cafagna del duello infinito tra socialisti e comunisti). Ma è come se dicessero che i comunisti, con tutti i loro limiti, erano molto più bravi degli attuali campioni del centrosinistra. Ciliegina sulla torta di questa rivalutazione è il saggio di Rino Formica su Togliatti costituente. Stiamo parlando dello stesso Formica, già ministro di Craxi, che fu il più sulfureo e imprevedibile protagonista del nuovo corso socialista e il più vivace combattente di polemiche simmetriche con i due giganti della Prima Repubblica, Dc e Pci. Bene: non colpisce solo il fatto che Formica riscopra Togliatti e spieghi che il modello costituzionale al quale il leader comunista aveva contribuito comportava fin dalle origini il rischio, poi verificatosi, di un progressivo scivolamento verso uno strapotere della magistratura. La novità sta anche nel recupero del metodo costituente del confronto e del compromesso, nella ricerca della soluzione più vicina all’interesse generale. Certo, i senatori di Ragioni del socialismo portano ancora tutte le cicatrici di decenni di scontri nel loro campo. Ma se hanno deciso di rivalutare pubblicamente il Pci è perché pensano che la crisi del sistema politico italiano sia giunta ormai al livello di guardia. E la sinistra, che non è certo estranea a tutto quel che è successo finora, farebbe bene a rendersene conto.