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 2011  febbraio 04 Venerdì calendario

La rabbia degli assediati nella moschea-ospedale - Alle dieci di mattina piazza Tahrir ricorda un po’ la linea verde di Beirut ai tempi della guerra civile, e un po’ la litografia che ritrae l’alba dopo una battaglia risorgimentale

La rabbia degli assediati nella moschea-ospedale - Alle dieci di mattina piazza Tahrir ricorda un po’ la linea verde di Beirut ai tempi della guerra civile, e un po’ la litografia che ritrae l’alba dopo una battaglia risorgimentale. Dal lato Nord, dove mercoledì hanno attaccato i sostenitori di Mubarak sparando fino alle cinque del mattino, non si passa più: prima ancora di arrivare alle barricate in lamiera sollevate dai manifestanti antigovernativi, si viene bloccati da criminali armati di bastoni che urlano, minacciano e, quando possono, rubano tutto, a cominciare da portafogli e passaporti. Dal lato Sud invece si passa, correndo lungo il Nilo, perché la protesta controlla ancora i varchi di accesso davanti alla Lega Araba. Prima di superare i controlli davanti alle barricate, bisogna attraversare una montagna di rifiuti. Dentro è la devastazione. I marciapiedi non esistono più: le mattonelle sono state tutte divelte e spaccate, per fare le munizioni di pietra che serviranno a difendere il perimetro degli assediati. Le hanno accumulate in mucchietti ordinati proprio davanti alle barricate, pronte all’uso in caso di attacco. Nella piazza girano i reduci della battaglia di ieri, combattuta a sassate fino all’imbrunire, e a colpi di molotov e di fucile durante la notte. Alle quattro del mattino, dal ponte che domina il Museo Egizio, i cecchini fedeli a Mubarak hanno cominciato a sparare, ammazzando almeno una quindicina di manifestanti. Il risultato si vede adesso in piazza, dove è difficile trovare qualcuno senza una benda in testa, una maglietta insanguinata o un braccio al collo. Camminiamo verso Al Amir Kadader Street, una viuzza laterale di piazza Tahrir coperta di fango, rifiuti e puzza di urina. A metà strada si trova la moschea Abd Al Rahmen, dedicata ai fedeli della misericordia, che è diventata un mito della protesta dalla sera dell’attacco al ministero dell’Interno. Anche allora fu battaglia, con i cecchini della polizia che sparavano per uccidere. Non sapendo dopo portare i feriti, a qualcuno venne in mente questa piccola spelonca, che almeno ha il vantaggio di aver due bagni, lerci, e qualche tappeto per la preghiera in terra. Da allora la moschea è diventata l’ospedale da campo dove si rimettono insieme le vittime degli scontri, oppure si recita la loro ultima preghiera. Ci fa strada Adel Ghonani, un chirurgo ortopedico di 27 anni che si è laureato all’Università Al Azhar, la più antica del Cairo, legata alla moschea più riverita della città: «Abbiamo circa cento volontari, tra medici e infermieri. Facciamo i turni per essere presenti ventiquattro ore al giorno. Io avrei preferito andare in piazza a lottare, però mi hanno convinto che ero più utile qui: così curiamo la gente ferita e la rimandiamo in battaglia». Adel è stato nella moschea anche l’altra notte, la peggiore dall’inizio della protesta. «Per tutto il giorno abbiamo curato centinaia di feriti, almeno novecento, colpiti dalle pietre. Quando, alle quattro, pensavamo di poter tirare il fiato, i sostenitori di Mubarak hanno cominciato a sparare dal ponte sopra il Museo Egizio. Dovevano essere cecchini ben addestrati, perché colpivano in testa, al petto, più di rado sulle gambe e le braccia». Uno dei feriti è ancora sdraiato sul tappeto sudicio della moschea. Dice di chiamarsi Mohammed El Safty e, mentre parla, quasi non si accorge che dagli occhi gli sgorgano lacrime che rigano il viso macchiato di sangue. Ha una ferita al braccio e la spalla dislocata: «Mubarak vuole punire la sua gente perché chiediamo la libertà. Dovete scrivere che è un assassino, perché vuole restare al potere sedendosi sopra i nostri cadaveri. Ma io oggi torno in piazza, non me ne vado fino a quando lui non cade». Mohammed dà le spalle al mobiletto con le medicine. I dottori della misericordia hanno a disposizione garze, acqua ossigenata, tintura di iodio, cannule, siringhe. E poi antibiotici a largo spettro come il Trivatrocin e il Floxamo, antidolorifici e analgesici come il Panadol e il Decloplen, e ancora Voltaren, Reparil. Tutto qui, per salvare centinaia di vite. Le lacrime sulle gote di El Safty si asciugano, perché lui vuole dire una cosa importante: «Abbiamo arrestato dei killer di Mubarak e ci hanno spiegato che il presidente del Parlamento, Sorour, ha fatto promettere loro cinquanta pound egiziani al giorno per venire a massacrarci». Il dottor Ghonani scuote la testa e aggiunge: «Capite ora perché sono qua? Lo faccio per i miei due figli, che non meritano di crescere in questa dittatura. Se anche morissi, ne varrebbe la pena: mi sarei sacrificato per dare a loro una vita libera». Susan Esmat, una egittologa che portala kefiah e qui si è improvvisata infermiera, conferma: «È inutile che il governo smentisca, nelle tasche di alcuni aggressori abbiamo trovato i documenti identificativi del partito di Mubarak e della polizia. Sono anni che questa gente organizza manifestazioni pro regime, ormai li conosciamo bene». Le foto, infatti, sono già su internet. Susan era lì, mentre arrivavano i feriti, e quello che ha visto è una condanna per il regime: «Fratture alla testa, tagli da coltello, ferite da proiettile: chi ha dato queste armi ai sostenitori di Mubarak?». Almeno due feriti, racconta, non ce l’hanno fatta: «Erano troppo gravi, sono morti qui. Abbiamo cercato di trasferire all’ospedale El Kaser El Aeney quelli che stavano peggio, ma le ambulanze sono arrivate dopo quasi un’ora. Poi i feriti non sono stati accettati al pronto soccorso, ordine del ministro della Sanità». Dopo tutto questo, secondo Susan, «di dialogare con Suleiman e gli altri membri del regime non se ne parla neppure». Fuori dalla moschea, infatti, i ragazzicontinuano a rompere pietre per la prossima battaglia. Sono assediati, circondati, eppure all’imbrunire riprendono coraggio. Escono dalle barricate sul lato Nord della piazza, attaccano loro a sassate i sostenitori di Mubarak e li spingono verso il Nilo, guadagnando terreno. Servirà oggi, venerdì, quando dopo la preghiera i ragazzi di Tahrir