MARCO ALFIERI, La Stampa 4/2/2011, pagina 5, 4 febbraio 2011
Nelle roccaforti lombarde l’alleanza con il Pdl è in crisi - La casa brucia. Basterebbe un semplice fischio del Capo, e il rompete le righe sarebbe immediato, quasi liberatorio
Nelle roccaforti lombarde l’alleanza con il Pdl è in crisi - La casa brucia. Basterebbe un semplice fischio del Capo, e il rompete le righe sarebbe immediato, quasi liberatorio. «Ma arriverà mai?», si chiede immusonito un ascoltatore di radio Padania. Eppure se si scava nella regione vetrina del forzaleghismo, dove tutto è cominciato, il matrimonio Bossi-Berlusconi è in crisi da tempo. Non c’è praticamente provincia lombarda al riparo dalla guerra tra i due partiti al governo (precario) del Paese. Il caso Ruby e il pantano federalista, potrebbero semplicemente timbrare il divorzio. A Sondrio l’altro giorno l’asse del Nord si è spaccato su una mozione di sfiducia al presidente del consiglio provinciale, Patrizio del Nero, presentata dal Pd. Il documento è passato con il voto di 4 consiglieri di maggioranza. Sul trappolone sta montando la crisi politica. Il Pdl ha ritirato gli assessori dalla giunta del leghista Sertori, e chiede un riequilibrio nei rapporti di forza. Per i berluscones valligiani la Lega ha il vizio di gestire l’amministrazione come un monocolore. «Prendiamo la vicenda delle centrali idroelettriche», racconta un consigliere Pdl. «Una vittoria di coalizione trasformata in un trionfo di partito...». A Pavia la Lega ha appena bocciato il Poma bis. «Mai più con Vittorio e gli uomini legati ad Abelli, basta con certi metodi», è il succo del documento licenziato dal direttivo provinciale. Se il Pdl in primavera lo ricandida (Poma è il presidente uscente), i padani andranno da soli. Sullo sfondo le inchieste di ’ndrangheta che hanno travolto esponenti vicini all’ex zar della sanità lombarda. Nel comasco la guerra è invece esplosa a Erba, il terzo centro della provincia. Il sindaco Pdl, Marcella Tilli, ha ritirato le deleghe all’assessore/parlamentare del Carroccio, Erica Rivolta, che aveva criticato l’immobilismo dell’esecutivo. Apriti cielo. Per rappresaglia la Lega è uscita dalla maggioranza. A Desio, la capitale della Brianza dei padroncini, a fine novembre i consiglieri comunali della Lega si sono dimessi con l’opposizione sfiduciando e sciogliendo per «infiltrazioni mafiose» la giunta guidata dal pidiellino Giampiero Mariani. A Brescia i rapporti tra i due gruppi consiliari sono ai minimi storici. Prima di Natale il sindaco Pdl di rito ciellino, Adriano Paroli, ha lanciato un patto sociale con gli immigrati, decisivi nell’economia locale. In tutta risposta la Lega ha polemizzato sui fondi al centro migranti gestito dalla Diocesi e ha vietato agli stranieri regolari e residenti il voto nella consulta del quartiere della stazione. Smontando pezzo a pezzo la strategia del sindaco. In provincia è pure peggio. Il Pdl ha minacciato di sfiduciare la giunta del leghista Molgora, contraria al progetto del polo logistico di Azzano Mella ma a sua volta azzoppata dalla vicenda Carrocciopoli: le 7 assunzioni «nepotiste» di parenti leghisti dentro l’amministrazione provinciale. Un caso su cui sta indagando la magistratura. Anche nella Bassa bergamasca l’asse del Nord non se la passa bene. Lega e Pdl in primavera andranno divisi a Caravaggio, Costa Volpino e Treviglio, la città dei cantieri della Brebemi e dell’alta velocità. A far deflagrare il patto è il risiko sanitario: i berluscones difendono il Poliambulatorio di Ponte San Pietro, il Carroccio vorrebbe spostarlo a Brembate. Scendendo un po’ più in giù, a Cremona la Lega sta giocando al gatto col topo. Prima 3 suoi assessori si autosospendono perché il Pdl, che esprime il sindaco Perri, voleva stabilizzare alcuni dirigenti del Comune, poi la fronda rientra per riesplodere sulla vicenda Linea Group Holding. La Multiutility sta comprando una discarica da 50 milioni in Puglia. La Lega non ci sta e fa un’interpellanza dichiarandosi contraria all’investimento: «occorre dare priorità ai progetti locali». Commento di un consigliere padano: «Se arriva un fischio dal nazionale, stacchiamo la spina in un minuto». Dunque guerre a tappeto sul territorio, nascoste sotto il tallone di ferro Bossi-Berlusconi che però comincia a vacillare. In fondo i movimenti di un Roberto Maroni sono la spia di un rapporto che potrebbe presto mutare. Nel 2000 è andato ad un soffio dal candidarsi alla guida della regione Lombardia in un’alleanza inedita Legacentrosinistra. La trattativa era in stato avanzato quando Bossi ricucì con Berlusconi attraverso Tremonti. La storia prese tutta un’altra piega ma 10 anni dopo è proprio lui a farsi portavoce del malessere che cova tra i sindaci padani, a rivendicare uno stile di vita diverso da quello del premier, e soprattutto a rompere il tabù di un centrodestra senza Berlusconi. Solo un caso...?