Daniela Roveda, Il Sole 24 Ore 5/2/2011, 5 febbraio 2011
IN USA LAVORO ANCORA DEBOLE
Non migliora la situazione sul mercato del lavoro americano, anzi l’economia Usa ha creato in gennaio solo 36mila nuovi posti di lavoro, un numero palesemente insufficiente per riportare il tasso di disoccupazione ai livelli precedenti alla recessione del 2008. Questa volta la colpa è stata attribuita alle bufere di neve che hanno paralizzato i settori dell’edilizia e dei trasporti il mese scorso, ma pur tenendo conto del fattore metereologico, l’aumento dell’occupazione è stato solo un quarto di quanto non avessero anticipato gli economisti. Il tasso di disoccupazione è invece sceso al 9% dal 9,4% di dicembre, anziché salire al previsto 9,5%: i due dati (numero di posti di lavoro creati e tasso di disoccupazione) provengono da sondaggi diversi e a volte sono in contraddizione tra loro, ma convergono nel medio periodo.
Unico raggio di luce in un dato scoraggiante è l’aggiunta di 50mila nuove posizioni nel settore manifatturiero, mentre il settore pubblico, l’edilizia e le costruzioni hanno licenziato. «Stiamo facendo progressi» ha commentato il capoeconomista della Casa Bianca Austan Goolsbee. Diametralmente opposta l’interpretazione dell’opposizione repubblicana. Secondo il presidente della Camera John Boehner l’incertezza creata dall’aumento del deficit pubblico sta paralizzando l’attività economica, e per questo motivo le aziende non assumono. «La Casa Bianca aveva promesso di abbassare il tasso di disoccupazione all’8%, e non ci è riuscita».
La reazione degli economisti e di Wall Street è stata invece più misurata. È impossibile quantificare con esattezza l’"effetto meteo" e quindi inutile fare considerazioni affrettate; tutti gli altri dati recenti sull’attività economica stanno puntando in alto, ed è quindi possibile che il dato di gennaio sia un numero spurio in un trend positivo. Questa è stata all’apparenza l’interpretazione di Wall Street, dove ieri le quotazioni azionarie sono rimaste sostanzialmente stabili e l’indice Dow Jones ha chiuso con un rialzo dello 0,25% a quota 12.092; sul mercato obbligazionario i prezzi dei titoli del Tesoro sono scesi, apparente prova della fiducia del mercato nella ripresa economica.
Resta da vedere quanto ci vorrà per riparare i danni inflitti dalla Grande Recessione del 2008-2009. Anche nel settore privato, dove è impiegato il 70% dei lavoratori Usa, il ritmo di creazione di nuove posizioni è anemico se paragonato al ritmo di crescita delle aziende. I profitti delle società americane stanno aumentando, e Wall Street ha preso nota, ma ciò è stato possibile grazie ad aumenti della produttività ottenuti abbassando i costi unitari di lavoro: le imprese stanno spremendo i lavoratori impiegati o ricorrono al part time anziché assumere permanentemente.
In questo contesto, il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti viaggia al di sopra del 9% dal maggio 2009, il periodo più lungo dal dopoguerra. Ieri il ministero del Lavoro ha stimato che l’economia americana ha perso 8,75 milioni di posti di lavoro nei 18 mesi di recessione, ma nel corso del 2010 ne ha aggiunti meno di un milione di nuovi, un numero insufficiente persino a tenere il passo con la crescita demografica. Tipicamante ci vogliono 150mila nuovi posti di lavoro al mese per assorbire i nuovi arrivi nella forza lavoro, e 300mila al mese per poter abbassare il tasso di disoccupazione.
Come ha sottolineato il governatore della Federal Reserve Ben Bernanke, ci vorranno qiondi anni prima che il tasso di disoccupazione ritorni a livelli "normali", mentre molti economisti credono che le imprese Usa dovranno creare almeno 200mila nuovi posti di lavoro al mese per sei mesi consecutivi prima di poter considerare la ripresa stabile. La media del 2010 è stata pari a poco più di 100mila.
Secondo alcune stime, oltretutto, almeno 4-5 milioni di disoccupati scoraggiati hanno smesso di cercare lavoro, e per questo motivo non sono più contati nelle statistiche ufficiali. Ciò spiega perché il tasso di partecipazione nella forza lavoro (gli occupati più i disoccupati attivamente in cerca di lavoro) è sceso a un mero 64,2%, il livello più basso degli ultimi 26 anni.
In sintesi, la situazione del mercato del lavoro si è stabilizzata ma non sta migliorando. Per usare le parole dell’economista John Canally with LPL Financial, «chi ha lavoro non rischia di perderlo, ma chi non ce l’ha farà fatica a trovarlo».
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