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 2011  febbraio 05 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 71 - ESSERE NOBILI A MILANO

Stiamo facendo l’elenco delle infelicità lombardovenete. - Il regno era governato dall’arciduca Ranieri, un uomo poco incline alla corte e buon amministratore. La moglie era la sorella di Carlo Alberto, Elisabetta, «giovane, bella, alta come un granatiere» . Andarono a guardarle le gambe un giorno che venne a fare la discesa in slittino dal Monte Tabor, dietro Porta Romana, e si dice che lei, dopo gli applausi, abbia esclamato: «Ma sono meravigliosi questi milanesi, e poi dicono che non ci amano». Altre testimonianze possono far credere all’esistenza di un forte feeling tra patrizi e occupanti austriaci. Per esempio, Hübner, un diplomatico che aveva accompagnato Metternich a Vienna al momento dell’incoronazione di Ferdinando I (1835), ancora nel ‘48 rimpiangeva «quelle belle dame in toilettes magnifiche, circondate da ufficiali austriaci le cui uniformi bianche spiccavano sul fondo scuro dei palchi», oppure lady Morgan a cui piaceva «il singolare contrasto dei baffi biondi dei militari austriaci mescolati alle teste brune degli italiani», tutti spettacoli di cui si godeva in modo particolare alla Scala. In realtà gli austriaci avevano profondamente ferito la nobiltà lombarda con la storia della Commissione araldica. Nel 1815 era stata istituita questa Commissione, che aveva il compito - dopo le nuove nobiltà conferite da Napoleone e non negate da Vienna - di verificare la purezza del sangue di ognuno. Se ti dichiaravi nobile, dovevi mostrare le carte. Risultò che i patrizi milanesi erano in gran parte bastardi, nei decenni passati le famiglie titolate avevano accolto senza problemi spose borghesi danarose, e insomma nel ‘19, alla prima della corte restaurata nel Palazzo reale di Monza, gli addetti del vicerè Ranieri avevano rimandato indietro quasi tutte le carrozze. Un’offesa intollerabile, che sollecitava gli sberleffi dei borghesi. S’arrivò a dire che gli austriaci avevano abolito l’aristocrazia e, più tardi, c’era anche questo nell’accusa a Radetzky di essere un comunista (Radetzky, in effetti, detestava i nobili milanesi). I nobili milanesi, come è noto, si sfogarono nei salotti, divenuti il luogo dell’esibizione di status, tolette, profumi, conversazione, cultura e soprattutto politica, in particolare dopo che Metternich acconsentì all’amnistia (anno 1838) e tanti esuli poterono rientrare e, nei salotti (aperti, a differenza di quelli monacali e militareschi di Torino), predicare la loro fede. La Maffei - la più famosa delle salonnières - era in effetti in quel periodo mazziniana. - Vienna avrebbe voluto amalgamare le province dell’Impero. Le province dell’Impero, specie quelle meridionali, volevano l’autonomia. La storia cammina alla fine su queste due gambe: lotta dei poveri contro i ricchi, lotta delle periferie contro il centro. Nel ’15 una deputazione di milanesi composta da Alberto Litta, Gian Luca Somaglia e Federico Confalonieri era andata a Parigi a discutere con gli Alleati la sistemazione della Lombardia, chiedendo che se ne facesse uno stato autonomo con Genova, pezzi di Piemonte eccetera. Tramontato, nonostante l’appoggio inglese, questo progetto, i lombardi chiesero allora, almeno, una «costituzione nobiliare (e non liberale in senso moderno) che salvaguardasse i diritti privilegiati della nobiltà, riproponendola come ceto dominante dopo la stagione di débâcle sofferta in epoca napoleonica, e restituisse alla regione quella posizione di relativa autonomia» di cui aveva goduto nel Settecento. Stiamo citando Meriggi: «Una costituzione insomma il cui primo obbiettivo non era quello dell’indipendenza nazionale, bensì quello dell’abbattimento di quanto storicamente antinobiliare e moderno lo stato napoleonico aveva realizzato». Questi signori chiedevano cioè di essere lasciati in pace da Vienna, e che i nobili tornassero a essere pienamente nobili. Attiro la sua attenzione sul nome di Federico Confalonieri, martire dello Spielberg. Era conte e non pensava affatto né all’unità d’Italia né al riscatto delle classi miserabili. Tramontato il progetto della Lombardia restituita ai privilegi settecenteschi, entrò nella setta dei Federati, credette al progetto carbonaro del Regno dell’Alta Italia, partecipò ai moti del ’21 e finì in carcere per una quindicina d’anni. Rivolsero una petizione a Vienna perché se ne avesse pietà «i nomi più illustri del patriziato milanese e della nobiltà lombarda, persone ligie e fedelissime al governo» (così commentava l’estensore austriaco della nota d’accompagnamento alla petizione), tra cui, primo firmatario, il conte Vitaliano Confalonieri, «père du monstre», «honnête et loyal gentilhomme» eccetera. Costoro chiedevano anche, per altra via, che l’Austria, profittando del moto finito male, si facesse cedere finalmente Lomellina e Novarese, cui sentivano di aver diritto per tradizione storica e soprattutto perché molte di quelle terre erano loro. L’autonomia non era un desiderio sentimentale, si trattava di difendere degli interessi assai concreti. Per inciso: Federico Confalonieri, Piero Maroncelli, Pellico e gli altri cospiratori, interrogati - anzi quasi confessati - dal formidabile giudice Salvotti, facevano intanto i nomi di tutti i loro compagni di sventura.