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 2011  febbraio 05 Sabato calendario

DOMANDE

& RISPOSTE - Perché il capo dello Stato si è rifiutato di emanare il decreto legislativo sul fisco municipale?

Per il mancato rispetto da parte del governo della legge delega. Già nel comunicato di ieri mattina il Quirinale fa riferimento alla procedura prevista dall’articolo 2, commi 3 e 4 della legge delega (la n. 42 del 2009) che sanciscono, ha sottolineato il Colle, «l’obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari». Lo stesso concetto viene espresso nella lettera inviata al premier (e in copia a Fini e Schifani) e resa pubblica nel pomeriggio dove c’è spazio anche per una contestazione di "protocollo": l’aver approvato in via definitiva il decreto con un consiglio dei ministri convocato senza «la fissazione dell’ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il presidente della Repubblica».



Adesso il governo cosa ha intenzione di fare?

I ministri Roberto Calderoli e Umberto Bossi hanno annunciato l’intenzione di andare a riferire alle Camere probabilmente già la prossima settimana e sottoporsi, se sarà il caso, al voto dell’aula. Secondo la delega il procedimento in Parlamento potrà durare al massimo 30 giorni, dopodiché il testo potrà comunque essere riportato a Palazzo Chigi per l’ok definitivo.



Il voto in aula è obbligatorio? Che effetto avrà un’eventuale bocciatura?

La legge 42 dice che l’esecutivo «ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera». La comunicazione può essere votata. Ma solo quella, secondo l’esecutivo, e non anche il testo del decreto. Al di là delle conseguenze tecniche un eventuale voto contrario avrebbe sicuramente una forte valenza politica. Diverso il discorso se il governo decidesse di porre la questione di fiducia sulla comunicazione. In quel caso, il voto contrario dell’aula lo farebbe cadere.



Il passaggio in parlamento esaurisce gli adempimenti a carico del governo?

Secondo il Quirinale no. Nella lettera Napolitano ricorda all’esecutivo che «deve ottemperare all’obbligo previsto dall’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 2 della legge delega di esporre sia alle Camere sia alla Conferenza unificata le ragioni per le quali ha ritenuto di procedere in difformità dai suindicati orientamenti parlamentari e senza aver conseguito l’intesa nella stessa Conferenza». Il fine è chiaro: coinvolgere non solo il Parlamento ma anche regioni ed enti locali nel procedimento di attuazione del federalismo. In realtà la norma citata dal Quirinale prevede letteralmente: «Il governo, qualora, anche a seguito dell’espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all’intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall’intesa». La sua applicabilità al caso di specie è da verificare visto che sul fisco municipale l’intesa in Conferenza unificata non c’è stata. Né il governo nelle sue reazioni ha mai fatto accenno all’intenzione di relazionare di nuovo alle autonomie locali, accettando invece di buon grado di tornare davanti alle Camere.