MARIA GIULIA MINETTI, La Stampa 5/2/2011, pagina 37, 5 febbraio 2011
“Anche il design è teatro civile” - Quello che le piace di più, quello che la coinvolge fino in fondo, è «parlare dell’ Italia
“Anche il design è teatro civile” - Quello che le piace di più, quello che la coinvolge fino in fondo, è «parlare dell’ Italia. Capire perché diavolo arriviamo a essere quello che siamo. Cercare i maestri, anche, se ci sono». E dunque il nuovo spettacolo Mani grandi, senza fine. Nascita e ascesa del design a Milano. I Castiglioni, Magistretti, Menghi, Sottsass, Viganò, Zanuso , che andrà in scena al Piccolo per il cinquantenario del Salone del Mobile, pur d’occasione, pur celebrativo, pur commissionato, è perfettamente dentro la passione e la ricerca teatrale di Laura Curino: «Sembra di averli incontrati, visti in casa e fuori, questi designer, tanto i loro segni sono ancora vivi, presenti». Ma averli frequentati davvero, da vicino, studiandoli, facendoseli raccontare da chi li ha conosciuti, osservando quello che hanno fatto ha scaldato il clima, reso più intensa la partecipazione: «Mi ha emozionato la spinta ideale di queste persone. Hanno una statura eroica: si mettono il mantello e vanno a cambiare il mondo. Con la fiducia di riuscirci e la capacità di divertirsi. Mettono addosso una grande energia, fanno venir voglia di inventare». Targata, incasellata, ficcata nel cassetto con su scritto «teatro di narrazione», Laura Curino, attrice e autrice piemontese, 55 anni appena compiuti, in pista da quaranta, al cartellino segnaletico non si ribella, anzi: «A me piace, l’etichetta. Sto benissimo, nel cassetto. È un modo sbrigativo di catalogare qualcuno, ma intanto ti rende riconoscibile, ti colloca, sanno dove cercarti". Il «teatro di narrazione» ha avuto il suo battesimo (nel senso che gli è stata appiccicata l’etichetta) con «Vajont», il monologo sulla tragedia di Longarone firmato da Marco Paolini e dal regista Gabriele Vacis nel 1993. Ma con Vacis, «compagno d’avventura teatrale, amico caro, collega degli inizi», Curino un anno prima aveva già scritto «Passione», storia monologante di una ragazzina che andando a teatro s’imbatte in una serie di persone variamente appassionate di questo o di quello, «ed è in realtà un ritratto della Torino della Fiat», informa lei. Puro teatro di narrazione - ma in anticipo sull’etichetta - sarà rietichettato a posteriori. L’aver preso la strada dell’attualità storica, del racconto di vicende italiane tra politica, economia, cronaca, inchiesta, indagine psicologica (e magari perfino poliziesca, come nel «Signore del Cane Nero», storia della vita e della morte di Enrico Mattei) è per Laura Curino - e per il suo frequente coautore Gabriele Vacis - una sorta di percorso naturale, già implicito nell’esordio, quasi fiabesco per chi ascolta: «Quando abbiamo cominciato a lavorare insieme io avevo 15 anni; Gabriele, che è più vecchio, 17; Lucio Diano, mi pare, solo 13». Voi tre soli? «No, no, eravamo in tanti. Diano m’è venuto in mente perché era il più piccolo e perché lavora con me adesso, in questo spettacolo sui designer milanesi, fa le luci, le musiche, i video». La fiaba l’inventa all’inizio degli Anni Settanta Piera Grisoli, responsabile della Biblioteca Civica di Settimo Torinese (dove Curino e Vacis sono nati e cresciuti), «molto giovane, molto generosa, molto raffinata, molto snob, Dio la benedica» che nella sua istituzione organizza un corso di teatro: «L’idea era che in quel posto non ci dovessero essere solo libri e che fare teatro non significa soltanto rappresentare i classici». Al richiamo della bibliotecaria risponde il fiore dei ginnasiali e liceali locali. Vanno in montagna a discutere come chiamare la compagnia che subito mettono in piedi, racconta Curino, in baita a cercare nomi rivoluzionari, «ma quando siamo scesi, il nome l’aveva già trovato e stampato lei: Laboratorio Teatrale di Settimo Torinese, e con quel nome presentammo il nostro primo spettacolo». Nel titolo di quello spettacolo Questa storia non ci piace e nel tema «Perché questo posto è diventato così infame?» era già racchiuso il destino del futuro Teatro Settimo (il nome finì abbreviato), l’impegno politico-sociale, la scelta di costruirsi i testi sull’attualità, la vocazione «narrativa». Narrazione e accumulo, come i cantastorie di un tempo, in fondo. Solo che invece del folklore, ad arricchire i racconti di Curino ci sono le indagini che continuano, le nuove testimonianze che affiorano, l’allargamento della prospettiva, libri, carte, foto, documenti, documentari. Prendiamo il suo famoso spettacolo sugli Olivetti, per esempio, continuamente riproposto: «Dal 1992 è cambiato molto e molto cambierà». Il Cane nero ? «È in progress». In più, spesso un’esperienza alimenta la successiva, come in questo nuovo lavoro sui designer: «Se attraversi la storia della Olivetti non puoi non occuparti di urbanistica e di design. Ma la città e la "forma" della città - dall’arredo urbano all’edilizia - sono presenti nel mio lavoro da subito, dal nostro spettacolino infantile su Settimo e la sua degenerazione. Che oggi è stata corretta, tra l’altro. Una storia che andrebbe ri-raccontata». Nell’esplorazione dei mondi che narrerà in palcoscenico, Laura Curino si fa guidare volentieri, all’inizio: «Cerco di avere un Virgilio, se posso». Nel caso di Mani grandi è stato l’architetto Manolo de Giorgi, allestitore del Museo del Design alla Triennale: «Alla fine, però, il punto di vista con cui sono presentati è il mio. Mio è lo sguardo sulla loro opera, la loro attività, il loro tempo. Ed è sempre un po’ lo sguardo di Chance [il disarmante protagonista del film Oltre il giardino , ignaro di ciò che lo circonda], lo sguardo di chi arriva accanto a queste storie e le capisce con i suoi strumenti». A questo punto, si sente soddisfatta della sua carriera? Delle scelte compiute? «Felice. Felice di essere diventata un’attrice. Felice di fare teatro. È stato il mio sogno fin da bambina, e per anni ho temuto il peggio: il tempo che passava e io che restavo indietro. Ho pianto quando Strehler ha scelto Monica Guerritore per Il giardino dei ciliegi . Aveva 16 anni, capisce? E io? Ne avevo già 18 e non avevo combinato quasi niente! Mi sembrava di essere vecchia. Poi, a poco a poco, sono ringiovanita».