C HIARA B ERIA DI A RGENTINE, La Stampa 5/2/2011, pagina 35, 5 febbraio 2011
La fotografa per caso che racconta il dolore - Lui, Stanley Greene, è un duro cresciuto a Harlem, droga e Black Panthers, diventato celebre per i suoi reportage di guerra in Somalia come Cecenia
La fotografa per caso che racconta il dolore - Lui, Stanley Greene, è un duro cresciuto a Harlem, droga e Black Panthers, diventato celebre per i suoi reportage di guerra in Somalia come Cecenia. Lei, Albertina D’Urso, è una ragazza-bene, viso d’angelo, corpo da gazzella, all’apparenza fragile. Le loro strade si sono incrociate, un giorno del settembre 2007. «Per la rinuncia di una ragazza americana», ricorda Albertina, «ero stata ammessa tra i 12 giovani fotografi (solo 2 donne) selezionati in tutto il mondo per seguire i corsi di «Focus on Monferrato», progetto della Regione Piemonte. Avevo già pubblicato da Skirà il mio primo libro, «Bombayslum», ritratti dei bambini delle bidonville, con prefazioni di Dominique Lapierre e Fabrizio Ferri. Povertà, guerra, dolore. Nel 2006 a Kabul, con una missione del Comune di Milano, ero entrata anche nell’ospedale dove sono ricoverate le donne bruciate. Ma, quel giorno, Greene guardò i miei lavori e, davanti a tutti, mi massacrò. «Sei la tipica ragazza che pensa di poter fare questo mestiere solo perché carina. Mi diede il compito più difficile del corso (poi, lui stesso, l’ha ammesso): un servizio sulla vita notturna nel Monferrato! «Voglio vedere come te la cavi in giro di notte da sola». Una scenata imbarazzante. Eppure, secondo Albertina D’Urso, 34 anni, mix di charme napoletano (suo papà, Carlo, è un noto avvocato; Mario, suo zio, è l’ex senatore-finanziere dell’alta società) con audacia lombard (suo nonno materno, l’ing. Gianni Albertini, nel 1929 guidò la spedizione al Polo Nord per cercare di salvare i dispersi del dirigibile Italia) è stato allora che la sua vita è cambiata. «Ci rimasi molto male, ma Stanley non aveva torto», dice la fotografa. «Ero un’autodidatta; volevo girare il mondo (la mia famiglia mi portava solo ad Amalfi, Bormio e Crans) e avevo solo colto delle occasioni al volo. Dopo le lezioni, cominciai a girare in auto per il Monferrato. Bar, posteggi, balere; ogni notte, tutte le notti. Ora, ai suoi allievi, Stanley mi cita come esempio di quel che si può ottenere con la caparbietà». Dalle passerelle ai corpi dilaniati dei bambini di Haiti, Albertina D’Urso per farsi prendere sul serio non ha scelto la strada più facile. Per qualche tempo, dopo gli studi, aveva fatto la modella: «Ottimo lavoro per viaggiare. Ma non era il mio karma». Con una buona dose d’incoscienza, pochi mesi dopo la sfuriata di Greene, la bella ragazza, accetta l’incarico di fare un reportage su Compton, cittadina della contea di Los Angeles in mano alle gang. Giubbotto antiproiettile, scortata della polizia unica donna bianca, fotografa prostitute e spacciatori del micidiale crack. «Compton è l’inferno a mezz’ora dalla ricca Beverly Hills. Paura? Sono stata fortunata», sorride Albertina. Con quel servizio vince il premio Canon per giovani fotografi. E il presidente della giuria, Denis Curti, direttore a Milano dell’agenzia Contrasto, sostiene il suo nuovo progetto: divulgare lo straordinario lavoro della Fondazione Francesca Rava N.P.H per i bambini di Haiti. Dura 3 settimane il pellegrinaggio di Albertina nel quotidiano dolore dei bambini del più misero dei Paesi. Ad accompagnarla lei vuole solo Fortilien, l’uomo che suona la tromba ai funerali celebrati dal missionario padre Rick. I neri occhi dei piccoli che come giaciglio hanno solo un cartone,il bianco delle bende che avvolgono i minuscoli cadaveri di neonati. A novembre 2009 è pronto il libro per aiutare l’ospedale pediatrico St Damien. Esposte allo Spazio Forma di Milano quelle immagini in bianco e nero sono da choc. «Haiti sembrava un po’ meno sola», sussurra Albertina. 12 gennaio 2010. Terremoto, migliaia di morti, colera. Da allora, Albertina D’Urso è tornata altre 2 volte nell’isola della tragedia infinita; le sue foto piene di sensibilità e mai inutilmente violente, dei piccoli haitiani mutilati e orfani sono state pubblicate da «Panorama» e «Vanity Fair». Alcuni bambini del primo reportage di Albertina sono morti sotto le macerie o stroncati dal colera; Fortilien, sua guida nell’Apocalisse, ogni giorno suona la tromba.