ALESSANDRO BARBERA, La Stampa 5/2/2011, pagina 5, 5 febbraio 2011
La corsa della riforma non è ancora a metà - Tre superati, uno ancora di fronte a sé, altri quattro prima del traguardo
La corsa della riforma non è ancora a metà - Tre superati, uno ancora di fronte a sé, altri quattro prima del traguardo. Spiegare a che punto stiamo della Grande Riforma Federale targata Lega non è semplice. Difficile spiegare cosa sia successo in queste ore fra Presidente della Repubblica e Governo, perché il primo abbia imposto al secondo di tornare in Parlamento con il decreto sul fisco municipale. Ci sono di mezzo complicate procedure parlamentari, deleghe, voti, pareri. Per semplicità scegliamo la metafora sportiva: immaginiamo che il governo sia un mezzofondista e il Federalismo una corsa a ostacoli. La lunga corsa La lunga corsa del Federalismo è regolata da una legge delega, la 142 del 2009: si tratta dell’autorizzazione, concessa dal Parlamento al Governo, ad emanare una serie di decreti. Ciascuno di questi (il consiglio dei ministri ne ha licenziati otto «in via preliminare») deve passare attraverso alcuni pareri: dei Comuni (se il decreto li riguarda), delle Province e/o delle Regioni, dell’apposita commissione bicamerale e di altre commissioni parlamentari. Voti mai vincolanti ma, come dimostra quanto accaduto ieri, se negati forieri di complicazioni. Una volta ottenuti i pareri, i decreti devono tornare in Consiglio dei ministri per il varo definitivo. Tutto l’iter - a meno di un voto di proroga del Parlamento - deve terminare entro la mezzanotte del 21 maggio. La strada fatta Fino a qualche mese fa, prima dello strappo fra Fini e Berlusconi, il traguardo del federalismo sembrava in discesa. L’anno scorso il governo ha completato l’iter di tre decreti con maggioranze ampie: su fisco demaniale, fabbisogni standard degli enti locali, Roma Capitale. Il primo, che ha avuto anche il sì del Pd, ha trasferito dal Demanio ai Comuni tre miliardi di immobili finora inutilizzati: fari, locali, caserme, qualche ex museo. Il secondo, più decisivo, è il decreto con il quale il governo promette di mandare in pensione il criterio della cosiddetta «spesa storica» a favore di un meccanismo più trasparente di determinazione dei costi dei servizi locali. I «fabbisogni standard» saranno imposti dalla «Sose» la società che calcola gli studi di settore dei lavoratori autonomi. Una volta messi a punto i parametri (entro il 2013) dovranno essere resi pubblici e pubblicati sul sito di ciascuna amministrazione. L’ostacolo si alza La corsa si è fatta più difficile dopo Bastia Umbra, la domenica in cui Gianfranco Fini disse addio al Pdl e battezzò Futuro e Libertà. «Potremmo usare il voto decisivo di Mario Baldassarri per condizionare i lavori, ma non lo faremo», disse con rara perfidia il presidente della Camera. Poco dopo è nato il terzo Polo, che ha compattato contro il governo l’Udc di Casini, l’Api di Rutelli e l’Mpa di Lombardo. Da quel momento le maggioranze hanno cominciato a vacillare ovunque. Ne ha fatto le spese il decreto sul fisco municipale, quello che sblocca le addizionali Irpef, introduce la tassa di soggiorno e (dal 2014) l’Imu in sostituzione dell’Ici. Per allargare la maggioranza Roberto Calderoli ha tentato il tutto per tutto, cambiando per quattro volte il testo sul federalismo municipale. Il ministro leghista ha convinto i Comuni - che hanno dato parere favorevole - non l’opposizione in Commissione: alla prova del voto 15 hanno votato a favore e 15 contro. Non è stato semplice nemmeno ottenere il parere tecnico nelle Commissioni Bilancio di Camera e Senato: nella prima, dove la maggioranza è in bilico tanto quanto in Bicamerale, il voto è saltato. Nella seconda il sì è arrivato con 14 voti a 11. Il resto è cronaca: il governo ha dato una intepretazione estensiva della delega votando il testo in via definitiva, Napolitano pretende una discussione nelle aule di Camera e Senato, dove la maggioranza resta risicata. Se la prossima settimana ci sarà un voto favorevole il decreto sarà approvato subito, diversamente sarà necessario attendere 30 giorni. Il nodo della Bicamerale In questo quadro, il governo deve ancora ottenere il via libera a quattro decreti: sul fisco di Regioni e Province, sulla cosiddetta «perequazione infrastrutturale» fra Nord e Sud, sulla armonizzazione dei bilanci pubblici. L’ottavo e ultimo decreto introduce premi e sanzioni per gli amministratori locali. Il prossimo ostacolo, il decreto dedicato alle Regioni, è il cuore della riforma. Il testo licenziato dal governo dopo un lungo braccio di ferro con le Regioni introduce i «costi standard» nella sanità: proprio su questo punto ora Baldassarri promette battaglia. Per evitare nuovi stop, obiettivo numero uno del governo è ottenere la modifica nella composizione della Bicamerale: poiché - sostiene il governo - una maggioranza nelle aule c’è, deve essere espressa anche nella Commissione. Ieri, in un comunicato congiunto, i presidenti di Senato e Camera, Schifani e Fini, si sono detti disposti a «fare una verifica». Avete letto bene, proprio Fini, Gianfranco Fini.