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 2011  febbraio 05 Sabato calendario

Nel paniere (buonista) finisce pure il kebab - Il multiculturalismo è arrivato adesso a inquinare le statistiche e nel cosiddet­to paniere dell’Istat, con cui si valuta l’andamento dei prezzi attraverso l’oscilla­zione del valore di mercato dei prodotti di largo consu­mo da parte degli italiani, è entrato il cibo etnico

Nel paniere (buonista) finisce pure il kebab - Il multiculturalismo è arrivato adesso a inquinare le statistiche e nel cosiddet­to paniere dell’Istat, con cui si valuta l’andamento dei prezzi attraverso l’oscilla­zione del valore di mercato dei prodotti di largo consu­mo da parte degli italiani, è entrato il cibo etnico. Uno legge «cibo etnico» e la pri­ma domanda che si fa è che cosa voglia dire. Poi uno ci pensa un poco e immagina che i connazionali frequen­tino in massa ristoranti cine­si, giapponesi, messicani. Ci ripensa un po’ e si convin­ce che in quei ristoranti etni­ci ci va a mangiare una mi­noranza di persone e che un importante istituto come l’Istat non possa prendere in considerazione il cibo che si compra in quei risto­ranti. E infatti le sue osserva­zioni non fanno una piega. A questo punto il mistero sul cibo etnico diventa sem­pre più fitto, così da lasciare smarrita la persona che si in­terroga su cosa diavolo sia: diventa perciò più che uma­no se da un momento all’al­tro sbottasse in un «chi se ne frega del cibo etnico». In­vece dovrebbe preoccupar­sene, perché gli indici del­­l’Istat condizionano in pro­spettiva la sua borsa, il suo potere d’acquisto. E la sua preoccupazione dovrebbe anche aumentare una volta che venga a sapere da me co­sa sia questo cibo etnico en­trato nel paniere dell’Istat. Svelo il mistero: il cibo etni­co è il kebab. Proprio quel pezzo di carne che per esse­re cotto ruota infilzato a uno spiedo, che viene taglia­to con un coltellaccio a fette sottili destinate a imbottire un panino. Chi se lo mangia il kebab? Il marocchino o qualche figlio di ex sessan­tottini che non si è ancora emancipato dell’ideologia dei genitori. Insomma, l’Istat si è in­ventato il buonismo statisti­co: non c’è altra spiegazio­ne per capire come sia fini­to il kebab nel suo paniere. E così dopo il cibo, dovre­mo aspettarci l’abbiglia­mento e attenderci fra poco l’interesse per le variazioni del prezzo del burqa e di al­tri indumenti etnici dei no­stri immigrati islamici. C’è stata una protesta del­la Coldiretti, dell’Associa­zione consumatori, nella le­gittima preoccupazione che non vengano messi in secondo piano i prodotti ita­liani nella valutazione delle loro variazioni di prezzo: pizza e non kebab, gonne e non burqa. Ma al di là della disputa dai caratteri nazio­nalistici, che rischiano di trasformarsi in un protezio­nismo fuori dal tempo, che non è certamente nelle in­tenzioni delle associazioni sopra ricordate, quello che lascia perplessi è l’idea alla base della decisione del­­l’Istat di mettere il kebab nel suo paniere. Appunto, un multiculturalismo stati­stico che si potrebbe giustifi­care soltanto se il multicul­turalismo fosse diventato un modello del nostro svi­luppo sociale o se la vendita di kebab stesse entusia­smando i consumi alimen­tari degli italiani. Improba­bile questo secondo tema, non rimane che il primo. L’idea di una società mul­ticulturale ha avuto i suoi so­stenitori alcuni anni fa. Si pensava che il giusto desti­no dell’Occidente fosse quello di smantellare i pun­ti di forza della sua tradizio­ne e delle sue specificità identitarie per integrare usi, costumi, moralità e reli­gioni provenienti dagli im­migrati non occidentali. Un’idea così utopistica che non trovò mai e in nessun luogo un minimo di realiz­zazione. Dunque, fallita l’ideologia multiculturali­sta, è rimasto il buonismo esistenziale di chi conside­ra gli immigrati sempre co­munque brava gente da giu­sti­ficare anche quando com­mettono i crimini peggiori, perché in noi bianchi è rima­sta la tara di colonizzatori e, quindi, di sfruttatori. Ognuno la pensi come vuole se non costringe gli al­tri a pensarla come lui, pe­rò le statistiche dell’Istat non sono un fatto persona­le, non possono rappresen­tare una rivincita del multi­culturalismo dopo il suo fal­limento e neppure possono essere un pensiero gentile che deve rivolgersi con amore alle associazioni isla­miche. Un po’ di equilibrio e di buon senso andrebbe­ro rispettati, altrimenti fini­rà per rivendicare i suoi di­ritti il buon gusto, che pre­tenderà il ritiro dalla vendi­ta del kebab e per il maroc­chino l’obbligo di smercia­re nei suoi baracchini pizze e spaghetti.