Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 05/02/2011, 5 febbraio 2011
LA PARTITA DI DELLA VALLE E LE MOSSE DELLE GENERALI —
Le Generali sono sotto i riflettori in seguito alle dichiarazioni del consigliere indipendente, Diego Della Valle, contro il presidente della compagnia, Cesare Geronzi. In realtà, il gruppo assicurativo di Trieste è percorso anche da altre e più complesse tensioni tra azionisti eccellenti, top management e presidenza nel quadro dei nuovi equilibri dell’alta finanza. Ma già il banco di prova, scelto dal signor Tod’s per verificare la forza dell’interlocutore, e cioè la partecipazione di Generali in Rcs Mediagroup, la casa editrice del Corriere, ha una sua eloquenza. L’entità del pacchetto è modesta: il 3,4%, 30 milioni il valore di mercato. Ma l’editoria sta a cuore a Geronzi, che in Rcs era entrato tramite Capitalia e poi vi ha sempre conservato un seggio. Della Valle propone di vendere questa quota. Chi fa polizze, dice, non ha alcun interesse a bloccare risorse nell’editoria. Sulla base di questa logica, nemmeno chi guida società quotate che fanno credito, automobili, cemento, condomini o pneumatici dovrebbe avere quote di un giornale. E allora le domande sono due: perché Della Valle lo dice solo oggi e dove vuole arrivare. Prima risposta: le profonde difficoltà del berlusconismo, la cui stagione coincide (ma solo temporalmente) con quella dell’influenza di Geronzi sulla finanza italiana, possono offrire una chance a una nuova generazione di cui Della Valle si sente un esponente di spicco; perciò esce oggi allo scoperto. La seconda risposta è più complessa. Seguendo Della Valle, gli unici titolati a investire nell’editoria sarebbero o gli editori puri o altri soggetti che usano denaro proprio. Una riserva interessante nella narrazione sociologica, meno nella realtà di un mondo dove un editore puro era iscritto alla P2 e tanti privati sono in pugno alle banche. In realtà, Della Valle non ha mai fatto mistero di essere disponibile a sottoscrivere, come altri, un aumento di capitale e a salire in Rcs. Certo, colpisce il tentativo di ricucire con Giovanni Bazoli: il presidente di Intesa Sanpaolo, va spiegando Della Valle, è assai diverso da quello di Generali, ancorché gli offra, accordandosi sulle grandi questioni, una copertura che il signor Tod’s vorrebbe fosse superata. All’atto pratico è dubbio che un 3,4%di Rcs in costanza di un sindacato azionario al 60%possa essere convenientemente ceduto. E tuttavia una discussione in materia resta delicata e può portare a più ampie conseguenze. Intanto potrebbe provocare prese di posizione, se non proprio una conta. Alcuni amministratori di Generali non coltivano lo stesso interesse di Geronzi in materia. Lorenzo Pellicioli, esponente del gruppo De Agostini, vorrebbe ragionare sui numeri attesi: si rivaluta il titolo alla svelta, e allora si tiene; se bisogna aspettare troppo, si vende. E Mediobanca? Il suo presidente, Renato Pagliaro, uscirebbe dall’editoria. L’ha già rivelato, ma a titolo personale. Mediobanca è il primo azionista di Rcs, dunque quanto dicesse a Trieste avrebbe un’eco moltiplicata in piazzetta Cuccia. Prevedere prudenza è facile. Come Pellicioli, un altro grande socio, Francesco Gaetano Caltagirone, considera sacre le liturgie societarie, e rifugge queste polemiche. E da editore del Messaggero, preferisce non interferire negli affari dei concorrenti. Ma al dunque la mossa di Della Valle, se non ci saranno altre sorprese, chiamerà in causa l’amministratore delegato, Giovanni Perissinotto. Il presidente Geronzi ha inserito la questione Rcs in un più vasto esame delle partecipazioni di Generali che, nel consiglio del 23 febbraio, non potrà non essere avviato dal top manager. La delega alle partecipazioni è stata assegnata a Perissinotto per completarne il profilo di capo di un’azienda dove il presidente non è più esecutivo. Ora le partecipazioni di Generali sono di due tipi: quelle legate all’attività assicurativa e le altre, legate alla rete di potere della compagnia. Sulle prime Perissinotto si muove personalmente; sul resto lascia ampio spazio a Geronzi, rimasto nei sindacati di Rcs, Mediobanca, Pirelli. E così, all’interno dei comitati del consiglio, comincia la rincorsa al chi sta con chi nella quale la presidenza tende a costruire la sua centralità. Su Rcs, Perissinotto non andrà allo scontro. Anche perché in ogni caso non giudica conveniente vendere adesso. Su Telecom, a differenza del presidente, ma in sintonia con Mediobanca e altri tra cui Caltagirone, considera positivo l’ultimo anno di Bernabé. E tuttavia non mancano frizioni con alcuni grandi elettori su singoli episodi. Caltagirone, per esempio, aveva sollevato informali riserve per l’investimento nel fondo infrastrutture della finanziaria vicentina Palladio, altro azionista di Generali, deciso poco prima che si varasse il comitato investimenti. Un’operazione dalla quale, peraltro, si era astenuta la Fondazione Crt, pur alleata di Palladio nella compagnia. L’oligarca ceco Petr Kellner, fresco socio di Generali e partner operativo nell’Est Europa, viene messo sotto la lente quando suggerisce di cedere il 38%dell’assicurazione russa Ingosstrakh, condiviso nella joint-venture con Generali, alla VTB, una delle maggiori banche russe che con la filiale cipriota lavorava per il Kgb e con quella svizzera era, nel 2005, in affari con Gazprom e il mediatore berlusconiano Mentasti. Soprattutto se, con il ricavato e altro, le Generali dovessero sottoscrivere una parte delle azioni VTB che il Cremlino offrirà al mercato e, magari, avviare rapporti di bancassurance a Mosca. Ma le fonti ufficiali di Trieste gettano acqua sul fuoco: sono solo idee, tutto è prematuro. Ricavare una verità da questo gioco di specchi è impresa improba. Soci e amministratori danno versioni e valutazioni contraddittorie, mentre risalta il silenzio di Mediobanca, storica sostenitrice del management del Leone, un tempo unico ancoraggio italiano e oggi affiancata dal gruppo dei privati. Una situazione di conflitti striscianti che dà un ruolo a tanti e una sintesi vera a nessuno.
Massimo Mucchetti