Francesco Cevasco, Corriere della Sera 05/02/2011, 5 febbraio 2011
SE GENOVA VIETA I PANNI STESI E UN PEZZO DELLA NOSTRA STORIA
«Belin, se ci togli i panni stesi a questi caruggi è come se ci togli la luce a Caravaggio… Io sui panni ci ho fatto anche dei quadri…» . Giovanni Musso è un pittore molto dilettante che abita in vico del Fieno, nell’ombelico del centro storico genovese. Però ha le idee chiare su arte e colori. E non gli va giù l’idea che stia per entrare in vigore un nuovo regolamento comunale che, di fatto, vieta di stendere lenzuola e mutande— soprattutto se sgocciolanti e visibili— fuori dalle finestre e sui terrazzi delle vie principali. Che cosa sia, poi, una «via principale» è un concetto che svolazza come le canottiere asciugate dalla tramontana o percosse dal libeccio. «Sarà il comando della polizia municipale a definire con precisione il significato» , ha detto il sindaco, Marta Vincenzi. Intanto, ad alzare il naso tra i vicoli del centro storico, pare che a nessuno gliene importi niente del nuovo regolamento. È tutto uno splendore di bianchi e blu, di rossi e verdi che illuminano il grigio delle strade strettissime e dei palazzi altissimi. Per carità, le intenzioni del sindaco sono buone: «Semplificare regolamenti stratificati dagli anni Trenta e, quindi, complicati e quasi indecifrabili» . Tanto che alla questione dei panni si aggiungono altri divieti: niente bivacchi a base di focaccia sui gradini di chiese e palazzi storici, niente adesivi e manifesti sui muri, niente volantini sotto i tergicristalli delle macchine. Ma davvero si salva il decoro di una città abolendo i panni stesi? È una vecchia idea di Silvio Berlusconi che, proprio a Genova, alla vigilia del G8 nel 2001, in nome del «decoro» , chiese e ottenne un’ordinanza municipale perché non voleva che i suoi colleghi Blair, Putin eccetera vedessero, lungo la strada che sfiorava il centro storico e li portava a Palazzo Ducale, «le mutande appese alle finestre» . Naturalmente i genovesi di via Gramsci si guardarono bene dal cambiare abitudini. E nessuno restò turbato. Da queste parti i panni stesi sono come incollati alla storia dei caruggi e spesso le corde per appendere la biancheria congiungono un palazzo a quello di fronte: così quel poco sole che arriva perché le case sono troppo vicine si sfrutta meglio. In realtà lo sa anche il sindaco che ha ammesso di considerare i panni stesi, a Genova, «una bellezza» (basta che non sgocciolino, è ovvio). È la stessa bellezza che colora Napoli. Quando, un anno e mezzo fa, Julia Roberts girò a Forcella una scena di «Eat, pray, love» , siccome in quel momento non c’erano panni stesi il regista fece esporre quelli finti pur di non rinunciare al tocco di allegria. E il fotografo Johnnie Shand Kydd espone in questi giorni al Museo Madre un’immagine intitolata «Bucato, via Francesco Caracciolo» in cui la biancheria è ordinatamente stesa ad asciugare su una panchina pubblica. Un bucato vagabondo che non offende il decoro della città. Ma quando mai qualche cosa di pulito, come il bucato appunto, ha mai offeso qualcuno? I panni puliti fanno parte della storia per immagini che la nostra cultura ha saputo far viaggiare in giro per il mondo. C’è chi ha affondato lì dentro persino le radici del successo della moda made in Italy. Che abbiano ragione quegli aristocratici dei torinesi che trovano più indecoroso esporre decine di «padelloni» , le antenne paraboliche che deturpano le facciate dei palazzi? Loro hanno deciso che vadano piazzate soltanto sui tetti e che, con un pizzico di ipocrisia, abbiano un colore mimetico o che siano trasparenti. Genova è la città della nostalgia, il suo inno è «Ma se ghe pensu…» , la canzone di un emigrato che ripensa al mare, ai monti, alla piazza, alla Foce illuminata. Oggi viaggia su Internet la nostalgia di una donna che ha lasciato la sua città: «Ho capito quanto mi manchi stendere i panni all’aria, al sole, al vento di maestrale o di tramontana che te li restituiva inamidati e crocchianti di gelo. O molli e pesanti per l’umido della macaia. E vedere le lenzuola gonfiarsi al vento…» . Forse il pittore dilettante Musso non lo sa, ma uno dei capolavori di Pellizza da Volpedo si intitola proprio «Panni al sole» . E poi, senza quei panni al sole, non avremmo avuto un capolavoro come «Una giornata particolare» di Ettore Scola. Non ci fossero state lenzuola e biancheria stese sui tetti di Roma, Sofia Loren e Marcello Mastroianni non si sarebbero incontrati proprio quel giorno del 1938 in cui arrivò il treno di Hitler, giorno in cui Mussolini «abolì» canottiere e mutande stese per non correre il rischio di turbare la sensibilità estetica del suo ospite.
Francesco Cevasco