Stefano Montefiori, Corriere della Sera 04/02/2011, 4 febbraio 2011
GALLIMARD, L’EDITORE DEGLI SCRITTORI —
«Io mediterò, tu m’editerai» , disse scherzando Louise Lévêque de Vilmorin, scrittrice e compagna di André Malraux, a Gaston Gallimard. E quel figlio di un collezionista di libri rari e quadri impressionisti fece il mestiere di editore così bene che oggi «Gallimard» ha 24 mila titoli e il catalogo forse migliore del mondo: da Marcel Proust (strappato a Grasset) ad André Gide, da Milan Kundera a Georges Simenon, da Albert Camus a Jean Genet, da Louis-Ferdinand Céline a Patrick Modiano, da Jean-Marie Gustave Le Clézio a Édouard Glissant scomparso ieri. Il 2011 è l’anno del centenario del tempio della letteratura mondiale che sorge al numero 5 di rue Sébastien Bottin, una delle vie più piccole di Parigi a pochi passi dal cuore di Saint-Germain des Près. Tra le tante celebrazioni in programma, la Biblioteca nazionale di Francia ospiterà dal 22 marzo una grande mostra che vuole ripercorrere la storia della casa editrice offrendo accesso per la prima volta a manoscritti, fotografie d’epoca, carteggi, edizioni originali; il presidente Antoine Gallimard, nipote del fondatore, ha chiesto al sindaco di Parigi Betrand Delanoë di ribattezzare la via con il nome del nonno, e poi ci saranno letture pubbliche e spettacoli in metro. Ma il primo omaggio di grande interesse è quello pubblicato dal settimanale «Le Nouvel Observateur» : dodici grandi scrittori contemporanei spiegano che cosa devono a Gallimard. Comincia Milan Kundera, la cui opera completa apparirà in due volumi nella collana della Pléiade, il 24 marzo prossimo. «Sotto l’occupazione russa, di tanto in tanto, qualche scrittore straniero faceva visita ai colleghi cechi sorvegliati dalla polizia — scrive Kundera —, ma nessun grande editore. Con una sola eccezione: Gaston Gallimard. È venuto più volte, e non come un imprenditore alla ricerca di un best-seller, ma come una grande personalità europea che cercava di sostenere una cultura condannata a morte. Incoraggiato da Claude ho completato due manoscritti che ha portato con se a Parigi. Il secondo era Il Valzer degli addii e per me era un addio alla mia vita di scrittore. Claude Gallimard lo ha capito e, con quel suo modo delicato, quasi timido, ha incoraggiato me e mia moglie a emigrare» . Jonathan Littell, premio Goncourt con Le Benevole, individua la grandezza della casa editrice Gallimard nel fatto che «non pubblica dei libri, ma delle opere» . «È nell’opera completa di un autore, nelle sue irregolarità, persino negli insuccessi, che vive la letteratura: senza il diritto al fallimento, la letteratura non è che una parola vuota» . Il premio Nobel Le Clézio ricorda il suo tempo «senza Internet, senza telefonini, senza computer» . «Per un giovane uomo che voleva scrivere, farsi ascoltare, gridare qualcosa, o semplicemente mosso dalla vanità di farsi conoscere, senza relazioni e senza esperienza, questa sembrava una battaglia persa. Come molti ho gettato in mare il mio messaggio nella bottiglia. Si chiamava Il verbale, e Gallimard ha raccolto questa bottiglia, nella forma di un pacchetto punteggiato di francobolli indirizzato a Georges Lambrichs. Certo, tutto questo è passato. Ma immagino che oggi, un ragazzo o una ragazza, nel momento di inviare il testo per email pensi sempre allo sforzo che permette di rompere il muro dell’indifferenza e della noia fino all’approdo a Gallimard, per esservi accolto o tacere per sempre» . Patrick Modiano ricorda che «il sogno di scrivere consisteva anche nell’essere pubblicati da Gallimard» . «È in un mese di giugno, quando avevo 22 anni, che ho incontrato per la prima volta Gaston Gallimard. Ero andato a firmare il contratto per il mio primo libro. La sua assistente Odette Laigle mi ha fatto entrare nel suo studio e ha detto, con un tono piuttosto solenne: "Vi presento il vostro editore". La situazione mi è sembrata così inverosimile che mi sembrava di essermi introdotto forzando la serratura. Ero così turbato che ho potuto verificare appena il ritratto che aveva fatto di lui Maurice Sachs e che conoscevo quasi a memoria: "Un’eleganza noncurante da attore celebre in vestito da viaggio. Un borghese dal cuore bohème, un realista sognatore, un poeta pratico, buon abbinamento per avere successo» . E poi Orhan Pamuk: «Ho scoperto Gallimard all’età di cinque anni. Mio padre, di ritorno dai suoi viaggi a Parigi, ci spiegava l’importanza della casa editrice con questi libri bianchi leggermente ingialliti che, cinquant’anni dopo, avrei mostrato ad Antoine Gallimard venuto a trovarmi a Istanbul» .
Stefano Montefiori