Massimo Gaggi, Corriere della Sera 04/02/2011, 4 febbraio 2011
L’«IRON MAN» CHE VUOLE RIPORTARE I GIOVANI IN FABBRICA —
«Iron Man» è un ragazzone sudafricano trapiantato nella West Coast americana che, col traguardo dei 40 anni ancora da tagliare, ha già cambiato Internet creando il sistema di pagamento online PayPal, ha dato una scossa all’industria automobilistica mettendo sul mercato la prima vettura sportiva elettrica (la Tesla Roadster), ha fondato una delle maggiori società Usa delle energie alternative (Solar City) e ora sta aggredendo il «business» dei voli nello spazio. I missili «Falcon 9» della sua società, la SpaceX, sono ormai considerati il modo più efficiente ed economico di portare carichi in orbita, soprattutto ora che la Nasa ha cancellato, per esigenze di bilancio, i suoi programmi più ambiziosi. E la capsula «Dragon» , sperimentata con successo due mesi fa (per ora senza uomini a bordo), promette di rimpiazzare i vecchi e costosissimi Shuttle che andranno in pensione tra qualche mese. Elon Musk, l’industriale-sognatore che vuole liberare l’uomo dalla schiavitù del petrolio e pensa seriamente di poter mettere piede su Marte prima di diventare vecchio, può sembrare un personaggio da fumetto. E in effetti la sua vita ha del rocambolesco: l’industriale con la passione del volo spericolato che per anni si è divertito a pilotare un vecchio caccia russo acquistato nell’ex URSS; il miliardario metà playboy (divorziato con cinque figli, ha appena sposato l’attrice inglese Talulah Riley), metà ingegnere che passa molte ore a cercare soluzioni innovative nei laboratori delle sue aziende. Elon ha ispirato al regista Jon Favreu i tratti di Tony Stark, eccentrico imprenditore scienziato e bon vivant, alter ego del supereroe «Iron Man» tratto dall’omonimo cartone della Marvel. Lui non è affatto dispiaciuto di aver fatto da role model per un film di fantascienza un po’ trash: alcune scene sono state girate nei capannoni dove vengono costruiti i suoi missili, Musk stesso compare brevemente nella seconda pellicola della serie e all’ingresso della SpaceX giganteggia una statua di Iron Man che gli è stata regalata dalla casa di produzione. Ma, visto nel suo ufficio alla Tesla Motors, una piccola scrivania di legno chiaro in un angolo di uno sterminato open space pieno di ingegneri, Musk non ha nulla di bizzarro. Sta lavorando all’organizzazione della catena di montaggio del «Model S» , la nuova berlina elettrica da sette posti costruita nello stabilimento di Fremont ceduto alla Tesla dalla Toyota: un gigante capace di produrre 250 mila vetture l’anno. La vettura sarà sul mercato nel 2012. Di «Iron Man», » , dice, gli piace la foga dello scienziato-artigiano che si costruisce un acceleratore di particelle da solo. E le differenze? «La principale è che lui non ha figli, mentre io ne ho cinque. Lui vola nel suo scafandro, io ho smesso di volare sul mio caccia: mi piaceva infilarmi nei canyon a tutta velocità, ma l’aereo era ormai vecchio e il radar roba da museo...» . Musk divide il suo tempio a metà tra Tesla (l’ 11 febbraio sarà a Milano per l’inaugurazione del primo showroom italiano) e SpaceX, mentre Solar City è affidata ai suoi cugini Peter e Lyndon Rive. Anche se si rifiuta di «scegliere il figlio prediletto» , è chiaro che il cuore batte soprattutto per i programmi spaziali. Ma come ha fatto uno che si occupava di software informatico a diventare un mago dell’industria manifattura? «Mi piace produrre, veder nascere oggetti. Una cosa che in questo Paese abbiamo trascurato per troppo tempo» . Lei produce negli Usa, non fa «outsourcing» in Asia. Pensa che ci sia ancora un futuro per l’industria americana anche se la Cina ha costi molto più bassi? «Cambierà — risponde Musk —. Giorni fa, a Shanghai ho preso un caffè da Starbucks. L’ho pagato quanto a San Francisco. E le case di lusso nelle metropoli cinesi costano ormai più che a Tokio o a New York. Le cose cambieranno. Ma noi dobbiamo crederci, imparare a produrre in modo diverso, più moderno e pulito. Tra i miei obiettivi ho messo anche quello di rendere di nuovo "cool"per i giovani andare a lavorare in fabbrica» . Ma come ha fatto Musk a "sfondare"in un settore sofisticato come quello spaziale? Com’è riuscito, in poco tempo e con pochi mezzi, a mettere in orbita satelliti e a far rientrare una capsula nell’atmosfera? Solo quattro Paesi e l’Agenzia spaziale Europea avevano fin qui raggiunto questi obiettivi. Spendendo miliardi nell’arco di decenni. Musk è partito nel 2002, ha tirato fuori dal suo portafoglio appena 100 milioni di dollari e, in tutto, fin qui ha speso 800 milioni. Come ha potuto battere giganti come Boeing e Lockheed e conquistare contratti miliardari per traghettare carichi dalla Terra alla stazione spaziale orbitante? Iron-Elon racconta che tutto è iniziato con la sua idea di mandare una piccola serra su Marte per vedere se certe piante potevano vivere su quella superficie. Esperimento fattibile e non troppo costoso, ma quando si informò sul costo del vettore per mandare il carico nello spazio si sentì chiedere 64 milioni di dollari. «Cercai di capire il perché. Scoprii che non esistevano barriere d’ingresso né difficoltà tecniche particolari: decisi di fare da solo» . Così un’azienda con meno di mille dipendenti e un capannone vicino all’aeroporto di Los Angeles, oggi produce missili che costano un quarto di quelli della concorrenza e porta carichi nello spazio a un prezzo inferiore di dieci volte rispetto a uno Shuttle (a parità di carico messo in orbita). «Il segreto? Costruire missili e capsule totalmente riutilizzabili. E poi avere gente in gamba che ha disegnato, ad esempio, motori più semplici, economici ed efficienti» . In effetti Elon, col suo carisma, è riuscito a strappare alcuni dei migliori ingegneri e studiosi anche a Google e a aziende spaziali molto più blasonate della sua. Chi lavora con lui vede in Musk un principe rinascimentale. Uno che, tornando all’auto, vuole creare una «Motor City» nel tepore della Silicon Valley, messa su con lo spirito delle «start up» digitali. Ma il principe vive una contraddizione interiore: da un lato è un ambientalista che immagina un futuro ecosostenibile senza le tinte cupe dell’ «austerity» . Anzi, solletica l’edonismo dei consumatori con la sua Roadster, un coupé elettrico capace di accelerazioni da Ferrari. Dall’altro pensa all’esplorazione interplanetaria come a una possibile via di fuga per un genere umano che tra armi nucleari, inquinamento e «global warming» , rischia di autodistruggersi. Come tiene insieme le due cose? Elon Musk sorride: «Sa come dicono gli americani: spera sempre nel meglio, ma preparati al peggio» .
Massimo Gaggi