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 2011  febbraio 04 Venerdì calendario

MAI PIÙ PANNI STESI

No al bucato sulle vie principali, ai bivacchi sui gradini di monumenti e luoghi di culto, ai manifesti sui muri: se il regolamento sarà approvato, Genova darà un bel giro di vite in nome del decoro. Sembrano proprio un’ossessione, per i nostri governanti (ricordate proprio Berlusconi, proprio a Genova?), i panni da nascondere: è ben vero che quelli sporchi si lavano in famiglia, ma quando sono profumati e pronti per essere stesi su balconi e finestre dovrebbero essere considerati parte del paesaggio italiano, quasi un patrimonio immateriale dell’umanità.

Invece si fa la guerra alle lenzuola, nonché (più comprensibile), ad antenne e parabole, e ai giochi in strada: chissà che ne direbbe Cat Stevens, che da anni si chiede dove andranno i bambini a giocare; con lui è rimasto qualche nonno e qualche associazione come «Tocatì» di Verona, quella di un memorabile festival di giochi in strada.

I centri storici italiani vanno a pezzi, la speculazione li ha ormai trasformati in residenze di lusso, pied-à-terre, uffici, studi e atelier, espellendo i ceti più poveri, e si pensa ai panni stesi. «Mal’aria» come non mai (bronchiti, asme, allergie, come minimo) e traffico alienante, ma i sindaci (sembra di sentire Johnny Stecchino che parla dei problemi siciliani) pensano alle mutande stese e alle biciclette appoggiate ai muri, e tollerano scempi ben peggiori, degni degli orrendi «sventramenti» umbertini, mussoliniani e anche post-bellici: l’orrido seriale si è impossessato da tempo delle nostre città e delle nostre vite, la mummificazione dei centri storici già esiste e non saranno la guerra ai mozziconi, al chewing-gum e alle feci canine (per quanto lodevoli) a cambiare la sostanza, ma una seria politica urbanistica e di tutela del famigerato «territorio» (è appena uscito da Laterza il bellissimo «Paesaggi rurali e storici», a cura di Maurizio Agnoletti), con criteri estetici e rigorosi nella scelta dei materiali, ad esempio: basta cemento armato, plastica, dove un tempo era legno, pietra e mattone.

Pazienza l’autobloccante, i Babbi Natale ai balconi e i nanetti in giardino, ma l’alluminio anodizzato e la plastica, il gaudioso piastrellato e le insegne dei negozi tutti uguali, ormai catene commerciali standardizzate, questa è la dittatura dei logo, che fa il paio con gli slogan al posto dei ragionamenti, dei copyrighter al posto dell’arte e dei souvenir di plastica nelle viuzze antiche.

Strano concetto, quello del «decoro», in questa carestia di umano e di bellezza, come spiega lo psicoterapeuta Luigi Zoja: le cicche, i chewing-gum per terra d’accordo, ma la vera pornografia sono i capannoni, le villette a schiera, il saccheggio delle coste e del territorio che tanti, da Salvatore Settis a Italia Nostra, da Asor Rosa al Comitato per la bellezza di Vittorio Emiliani tentano di fermare.

Genova dichiara guerra a magliette e calzini stesi, ai fazzoletti, ma non sarà una mutanda a sfregiare i centri storici, né gli islamici super oltranzisti (una minoranza, ovvio) a far argine all’«indecenza» vietando alle mogli di uscire di casa e stendere gli indumenti sul balcone. La vera pornografia sta altrove, i fan del decoro potrebbero pensare a Venezia: come cantava Guccini «è un sogno di quelli che puoi comperare», San Marco è anche il nome di una pizzeria, la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra.