Giampaolo Visetti, D – la Repubblica 5/2/2011, 5 febbraio 2011
VIA DALLA SETA
Le case di Jili circondano un piccolo lago e sono sparse tra orti invasi dai gelsi. Formano ora un vecchio paese contadino, occupato dal silenzio, alla deriva tra i pascoli grassi dello Zhejiang. Nessuno direbbe che questa è un’antica capitale. Per secoli Jili è stata l’epicentro mondiale della seta, una potenza in competizione con Pechino, Tokyo e Singapore. Da gennaio anche l’ultima fabbrica del tessuto degli imperatori ha chiuso e solo gli anziani si ostinano ad allevare i bozzoli dei bachi, come
se nulla fosse cambiato.
L’ultima seteria di Jili, nome ormai anonimo, sarà riconverita in una fabbrica di scale mobili per shopping center e gli abitanti sanno che questo passaggio non illustra la fine di un’arte, ma l’estinzione di una civiltà.
Disegni del 4mila a.C. confermano che qui, a un centinaio di chilometri da Shanghai, è stata inventata la filaturadella bava dei bachi. Lo splendore degli abiti delle dinastie che hanno dominato la Cina, i commerci che hanno aperto la Via della Seta verso l’Europa, le ricchezze delle famiglie di tessitori che hanno alimentato la cultura e la bellezza dell’Oriente posseggono a Jili una culla comune. Si è sempre prodotta sulle aie di queste case, non più di una cinquantina, la seta più bella e sognata del pianeta. Costava più dell’oro e doveva la sua qualità alla purezza dell’acqua e alla freschezza delle foglie di un gelso speciale, che rendeva di un bianco unico, simile al latte, le stoffe intrecciate a mano sui telai in legno.
La seta di Jili era leggera e inconsistente, come una nuvola, e ai tempi delle dinastie Tang e Song i telai erano oltre diecimila. Un pugno di famiglie, dette i «Quattro Elefanti», durante l’impero dei Qing vantavano un giro d’affari annuo superiore all’intero gettito fiscale del regno. Il palazzo sull’acqua del mercante Zhang Shimin offriva una sala da ballo più vasta di quella del Palazzo d’Estate e conservava 650mila volumi, la più importante biblioteca del tempo.
Alla fine della prima Guerra dell’Oppio, nel 1842, la seta era la merce di scambio più redditizia, simbolo del potere, come oggi la tecnologia delle telecomunicazioni, o le terre rare. La prima Esposizione Universale, a Londra nel 1851, assegnò alla seta di Jili le medaglie d’oro e d’argento, consegnate dalla regina Vittoria.
Sarebbe sorprendente ammirare una vellutata sciarpa cinese alla prossima Expo di Milano e questo tramonto spiega perché la fabbrica che per secoli ha definito il concetto globale di eleganza è oggi uno stabilimento arrugginito e chiuso. Ai primi del Novecento fecero irruzione le macchine. Durante la Seconda Guerra Mondiale arrivò l’occupazione giapponese. Dopo il 1949 i rivoluzionari di Mao imposero l’industrializzazione di massa. Jili ha resistito presidio per stole uniche e impossibili, fino all’esplosione economica pianificata da Deng Xiaoping.
La Cina s’è trasformata nella fabbrica dell’umanità, fiumi, terra e aria sono stati distrutti dal veleno, milioni di contadini sono emigrati nelle megalopoli costiere. Inquinamento ed estinzione della sapienza manuale sono i killer del dominio di Jili, uniti alla fine della pazienza e allo scadimento del gusto.
Da vent’anni la seta più bella del mondo non era più così bella, ossia trasparente, e solo un esame chimico poteva certificarne lo sbiancamento sintetico ottenuto con la candeggina. Il lusso ha ripiegato su stoffe meno costose e delicate, non offese dal sole e dal metrò, l’industria ha scelto intrecci di petrolio, resistenti a detersivi e centrifughe, e il simbolo della grande Cina è lentamente regredito nell’ignoto.
A Jili sono rimasti in quaranta, tutti oltre i 70 anni, a nutrire le larve dei bachi o ad avvolgere i bozzoli nella paglia. Dalle residue 30 tonnellate di filo nel 2007, la produzione 2010 è precipitata a 4, pagata l’equivalente di 20 centesimi al chilo. Le fabbriche sono emigrate nelle regioni dell’ovest, secondo i piani del governo di Pechino, ma la seta non è più seta e i bozzoli venduti dagli ultimi allevatori alimentano impasti di fibre ideate per stampa e taglio seriali.
Il primo acquirente delle scale mobili prodotte nell’ultima seteria naturale della Cina sarà un grossista di tessuti ricavati da plastica e lattine vuote. Possiede decine di centri commerciali e in cinque anni è diventato miliardario. Passato e futuro, in Oriente, preferiscono restare estranei.