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 2011  febbraio 05 Sabato calendario

LE IMPRESE FAMILIARI SONO MEGLIO



È un po’ come quando si comprano le camicie tutte insieme. Finiscono per logorarsi allo stesso momento. Così avviene per le imprese di famiglia in Germania, se il paragone non sembra offensivo. La guerra e la sconfitta hanno avuto effetti diversi, da noi e da loro. In Italia le imprese sono sopravvissute, bene o male, dalla Fiat alla piccola azienda familiare.

Qui si azzerò tutto, il Reichsmark venne messo fuori corso in una notte e ognuno, almeno in teoria, dovette ricominciare con 20 nuovi Deutsche Mark, marchi tedeschi, a testa. Ci fu un ricambio obbligato e si ripartì tutti insieme.

Il primo passaggio generazionale avvenne all’inizio degli anni 80. Il secondo, tre decenni dopo, è in corso: si calcola che ci sarà un cambio al vertice in almeno 110 mila imprese da oggi a fine 2014. Una piccola rivoluzione che, ovviamente, presenta dei problemi, di cui si discuterà al convegno dei Familienunternehmer che si aprirà l’11 febbraio presso l’università di Wettin. Un incontro organizzato dalla Federazione delle imprese di famiglia, che vanta 5 mila iscritti. Forse non molti se si calcola che le società a conduzione familiare sono circa il 95%, a partire dalla gigantesca Bertelsmann o dalla Bmw, per finire al discreto artigiano di provincia (in Europa la media è tra il 70 e l’80%).

Il Verband, la federazione, nata insieme con la Repubblica Federale nel 1949, fa sentire spesso la sua voce a Berlino.

Il presidente Patrick Adenauer, 50 anni, nipote del primo cancelliere del dopoguerra, ha appena rivolto un appello ad Angela Merkel affinché difenda l’euro: la moneta unica, sostiene a nome degli iscritti, è una garanzia fondamentale per il futuro dell’economia tedesca.

Per far parte dell’associazione bisogna avere almeno 40 anni e dirigere un’impresa con dieci dipendenti e un bilancio di un milione di euro. I 5 mila iscritti danno lavoro a 1,7 milioni di dipendenti e vantano un bilancio complessivo di 291 miliardi di euro. Qualunque governo deve fare i conti con loro. Tutte le imprese di famiglia raggiungono il 41,5% del bilancio nazionale delle aziende e rappresentano il 57% dei posti di lavoro.

L’associazione assiste gli iscritti, ma anche gli imprenditori in difficoltà, nel momento in cui si avvicina il passaggio di proprietà: si organizzano corsi per i giovani futuri eredi, in modo che abbiano una preparazione non solo familiare. Non è sempre facile per il padrone ritirarsi al momento opportuno, in modo che l’erede possa prendere il comando quando è ancora giovane e vitale. Oppure, se mancano gli eredi, si affianca la famiglia nella vendita dell’azienda, cercando un acquirente che garantisca la competenza necessaria e sia in grado di garantire i posti di lavoro. I dati confermano la ragionevolezza degli imprenditori: l’86% abbandona al momento dell’età pensionabile.

Le imprese di famiglia hanno dimostrato la loro vitalità e competenza durante l’ultima crisi, superata prima e con risultati migliori delle altre imprese. Pochi fallimenti e perdita dei posti di lavoro contenuta. I manager, si spiega, pensano al profitto e a se stessi. Chi dirige la propria azienda pensa anche ai collaboratori e ai dipendenti, e nei momenti difficili tutti cercano di superare gli ostacoli nel comune interesse, senza contrasti.