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 2011  febbraio 04 Venerdì calendario

SONO LA FIGLIA DI STING HO IL MIO SOGNO ROCK MA NON È UNA COLPA"

dal nostro inviato
La colpa è tutta di Trudie. Sbagliò per eccesso di zelo. «Mia madre mi regalò l´album "Are you experienced?" di Jimi Hendrix quando avevo sette anni, mi disse: "Questo è l´uomo più cool della storia del rock". Per me diventò una sorta di ossessione, pian piano imparai a suonare tutte le sue canzoni alla chitarra», racconta Coco Sumner, la figlia ventenne di Sting e Trudie Styler che sta per pubblicare l´album d´esordio col titolo I blame Coco (il 7 febbraio in digitale e il 22 in cd), un disco che non assomiglia per niente a quelli di papà. La ragazza ha gli occhi magnetici, lo sguardo severo, con le mani sprofondate nelle tasche dei calzoni si muove come un maschiaccio nell´elegante club di Notting Hill. Anche se conoscendola è certo che se non appartenesse all´aristocrazia del pop ci avrebbe ricevuto in qualche scalcinato club di Brixton, più in sintonia con la sua energia punk. Tuttavia si muove a suo agio in quell´ambiente raffinato, accende il caminetto, le candele sul tavolo, si accomoda e subito mette in chiaro che lei dei privilegi del cognome che porta (il vero nome di Sting è Gordon Sumner; quello di Coco è Eliot Paulina) non sa che farsene.
«Ho un grande rispetto per mio padre», precisa, «ma ho scoperto la musica dei Police quando la band non esisteva più. Di nascosto andai a comprarmi una raccolta con tutte le loro canzoni più belle e mi resi conto che le primissime cose erano molto punk. Beh, in quel momento mio padre ha guadagnato molti punti ai miei occhi. Però da quando ho 17 anni non ho più accettato aiuti dalla famiglia. L´autosufficienza è il primo passo verso la libertà e la realizzazione di una persona».
Nata a Pisa nel luglio 1990, quando già Trudie e Sting avevano ormai preso l´abitudine di trascorrere le vacanze in Toscana, Coco ha frequentato le scuole in Inghilterra prima di mollare tutto e buttarsi a capofitto nella musica. «Già alle elementari ero insofferente», confessa. «A nove anni andavo pazza per i Sex Pistols e per la ribellione che il punk aveva rappresentato. Rimpiangevo di non essere vissuta nella seconda metà degli anni Settanta, nella Londra che riscopriva le radici più autentiche e selvagge del rock´n´roll. Volevo essere indipendente, non tolleravo che qualcuno mi dicesse quel che era giusto o sbagliato, pretendevo di scegliere da sola. Secondo me i miei intuirono fin da allora quale sarebbe stato il mio percorso. La musica è sempre stata la mia ossessione. Mi era impossibile concentrarmi su matematica, storia o geografia. Anche preparare gli esami era uno sforzo sovrumano; il mio corpo era in classe e la mia mente in un posto completamente diverso. Sinceramente ho imparato più dalla strada che dalla scuola».
E´ bella, ha personalità, un pedigree che le avrebbe agevolmente potuto spalancare le porte del cinema o le passerelle dei grandi couturier. Lei, invece, inorridisce al pensiero di dover fare un altro mestiere, nonostante in famiglia ci sia l´esempio tangibile che per i figli delle popstar il successo è tutt´altro che garantito (i Fiction Plane, la band di Joe Sumner, il figlio che Sting ha avuto dalla prima moglie, sono rimasti nella nebbia). «La gente pensa che tutto sia più facile per una che viene da una famiglia di artisti. Invece è il contrario», conviene Coco. «Ma alla fine ho smesso di pensarci. Mi sono detta: sono quel che sono, vengo da dove vengo, non posso far nulla per cambiare le cose; voglio essere una rocker e non ucciderò il mio sogno solo perché anche mio padre fa lo stesso mestiere. Mia madre, che in casa è il grande boss, era un po´ spaventata». Soprattutto quando una volta è stata fotografata con Pete Doherty. Ma lei precisa: «Ci sono due cose di cui ho il sacrosanto terrore: l´altitudine, poiché soffro di vertigini, e le siringhe».
Stessa determinata cautela sull´ambiente in cui si è tuffata: «Il music business è pieno di sciacalli, ne sono consapevole anch´io. Ma non mi faccio raggirare facilmente. Sono molto istintiva, che se sento puzzo di bruciato mi tengo alla larga da certe situazioni».
Sting è più fatalista rispetto al destino dei figli, che hanno sempre condotto esistenze molto più libere di qualsiasi coetaneo (il più giovane dei quattro avuti da Trudie, il 15enne Giacomo, studia a New York). «Cosa puoi fare per cercare di fargli capire che questo è il mestiere più difficile e insidioso del mondo?», ci ha detto stringendosi nelle spalle «Non puoi impedirgli di sognare il tuo stesso sogno, te lo rinfaccerebbero tutta la vita, e a ragione. Pensi che Coco a 7 anni andò a comprarsi un disco dei Prodigy e a 14 anni già scriveva canzoni. A quell´età non li fermi neanche con le cannonate. E devo ammettere che il risultato è lusinghiero». Coco conferma, e aggiunge: «Tutti pensano che in casa nostra si parlasse solo di Sting e dei Police. Mio padre invece ha una collezione dei vecchi dischi di Miles Davis che hanno aperto i miei orizzonti musicali. Ora, ripensandoci, mi rendo conto che i miei genitori ascoltavano solo il meglio del meglio di un secolo di musica».
Aggiunge altra legna per alimentare il fuoco e riflette: «Oggi il rock non è più quello di un tempo, me ne rendo conto. Ha perso molto del suo fascino e anche quell´elemento romantico che c´era sotto la scorza dura di certi atteggiamenti o certi arrangiamenti. Ricordo le vecchie canzoni che ascoltavo in casa, piene di ritmo e di sensualità. La mia preferita era "Son of a preacher man" (Dusty Springfield, Aretha Franklin): ritmata, religiosa, sexy. Oggi passerebbe inosservata in mezzo all´ovvietà del pop dominante. Il mio scopo è fare del buon rock´n´roll. Vorrei diventare una brava compositrice. Scrivere colonne sonore. Rock vero, duro, autentico, e non intendo heavy metal ma quelle cose, come Bruce Springsteen e Fleetwood Mac, che non tramonteranno mai».