Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  febbraio 10 Giovedì calendario

GIOCHI DI COPPIA


Ora che le coordinate del reciproco successo hanno ridisegnato i confini, Fabio Caressa e Benedetta Parodi non pongono più limiti alla loro frontiera. Persuasi che il Paradiso non potesse attendere, hanno messo le tende sotto i riflettori. Lei, compilatrice di ricette in tv poi trasferite in volumi venduti a milioni tra librerie edicole e autogrill, sogna di interpretare un film di Natale "perché adesso mi piaccio, tra dieci anni chissà" e si dice entusiasta dell’ipotesi di un reality che la coinvolga. Lui annuisce, consapevole che la dimensione del Truman Show è ormai parte della loro vita. Sposati, tre figli, una casa a Milano 2, una professione, quella giornalistica, frequentata per anni e poi declinata con piena soddisfazione nei più diversi dialetti. Caressa commenta il calcio per Sky. È l’uomo che descrisse con accentuato gusto per l’iperbole il trionfo Mondiale dell’Italia a Berlino nel 2006. Non pago, presta la voce a videogiochi pallonari e ha importato in Italia, con la complicità del fratello Maurizio, "Siamo i Caressa’s" quell’ordalia da tavolo verde che è il Texas Hold’em. Programma apposito, tomi sul tema, incassi dilatati e ascolti in ascesa che ne vellicano l’ego e il gusto per la battuta, meglio se greve: "Io senza carte non so stare, so’ frocio per il poker". Appaiono abbracciati sulle copertine dei settimanali e raccontano la palingenesi come un romanzo Harmony.
Si sono conosciuti quasi 15 anni fa e il film scelto per sublimare l’appuntamento, Romeo e Giulietta, non si è rivelato una tragedia. Si occupano di passioni condivise. Lei blandisce le massaie da Nord a Sud con l’arte del soffritto, lui miscela toni da ultras e ieratiche considerazioni deamicisiane: "Abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene stasera", entrambi hanno compreso che in televisione tutto si può fare tranne marcare le distanze tra chi conduce e chi osserva. Fedeli al precetto e nell’alveo dei loro temi: calcio, cucina, giochi d’azzardo, eseguono il compito interpolando finzione e realtà, frammenti di esistenza e aneddoti, sfrontatezza e umiltà. Fisicamente, la coppia riluce nella diversità. Lei, un giunco piemontese di irregolare bellezza. Lui, un ragazzone romano di media altezza, erre agnelliana e nera criniera che non di rado riassesta con le mani. A unirli l’epica della gavetta. "Sono partito dal basso", assicura Caressa. "Prima di affermarmi ho faticato molto", controcanta la consorte. Anche la descrizione della propria scalata è funzionale al romanzo d’appendice. Alla storia edificante in cui ognuno, con il necessario fideismo, possa immedesimarsi e far suo il sogno americano dipinto a Cologno Monzese.
Caressa e Parodi ce l’hanno fatta. Il telecronista ha 43 anni. Dell’adolescente che saliva sulle spalle di suo padre "per scorgere dalla finestra il tabellone dello Stadio Olimpico", è rimasto inalterato il desiderio di affermarsi ed essere il migliore. Da ragazzo traduceva dal greco al latino e aiutava i liceali in difficoltà a superare l’anno. Dietro compenso economico. Oggi che il denaro non è più un’urgenza, all’orizzonte sventola l’imperativo di non farsi superare. Allo scopo, occupa ogni possibile spazio di notorietà. Monetizza, tracima, esonda. Vibra di indignazione in diretta se i suoi concittadini in trasferta scambiano l’arena del Meazza per una sagra di lancio al fumogeno: "Cacciateli via, cacciateli via! Mi vergogno di essere romano". Indossa la sahariana e i pantaloni kaki per volare in Afghanistan a raccontare in prima persona la vita dei soldati italiani sparsi tra Herat e Kabul. Derubrica al paleolitico i padri nobili: "Se avessi raccontato la partita come Niccolò Carosio mi sarei addormentato". E non teme le allitterazioni: "Azione fighissima di Figo".
L’improvvisa ribalta della moglie ("Incontrarla è stata la più grande fortuna della mia vita") non pare disturbarlo. Fino a due anni fa, Benedetta si divideva tra i doveri familiari e la conduzione del Tg di Italia 1, Studio Aperto. Poi Giorgio Mulè, il direttore, le propose di cambiare: "Fatti venire un’idea". Stanca di tronisti e veline, Parodi propose una rubrica di cucina. Nacque "Cotto e mangiato", 90 secondi filmati tra le mura di casa. Mentre i figli della coppia escono e entrano dal video, Parodi combatte con alici e melanzane. A corvée terminata, con notevole spirito di servizio, Benedetta lecca il dito e sorride pronunciando il titolo della trasmissione più parodiata della tv italiana. I Fichi D’India la imitano a Colorado Cafè. Un’oca giuliva impegnata nell’ossessiva ripetizione del suo nome, mentre in Rete dissacratori di ogni età le fanno il verso, non sempre con rispetto. Alla diversità di opinioni e caratteri Benedetta Parodi è abituata. In famiglia è la norma. I suoi fratelli sono agli antipodi. Roberto il vagabondo ha stracciato il master alla Bocconi e dopo aver spedito 3 mila curricula: "Quelli a cui tenevo di più li strusciavo sulle tette della mia ragazza a scopo propiziatorio", ha scelto di girare il mondo con la moto. Cristina, moglie del signor Magnolia Giorgio Gori, e lontanissima dal modello Easy rider, ha l’aria seria, quasi conventuale. E così, mentre Wilma De Angelis lotta e vive insieme a noi grazie all’ex stagista di Tele+ diventata celebre magnificando le nascoste virtù del surgelato, fornelli e pignatte sono tornati di moda. Austeri inserti letterari come "Tuttolibri" celebrano Benedetta il fenomeno. L’omologa Antonella Clerici la insegue vanamente in classifica e Michela Rocco Di Torrepadula, in primavera, tornerà su La 7 alla guida di "Grandi chef". Con gli applausi, dal cielo sono piovute anche cattiverie e invidie. E se Benedetta Parodi declama candida che "tutte le critiche sono benvenute, io mi incazzo solo se dicono che cucino male", Caressa si appella all’autoironia: "Il primo articolo della mia personale Costituzione". Così evita di rispondere a chi gli dà alternativamente del megalomane o del presuntuoso. Chi lo conosce ne irride il culto della personalità, la sfrenata competitività: "Speravo di raccontare la scorsa finale di Champions, ma non ne faccio un dramma". La preparazione monastica all’impegno traversata da venature new age: "Digiuno per sette ore prima della telecronaca e alleno il diaframma con l’Om".
L’idea che in ogni narrazione, come insegnava il suo maestro, il guru delle tv private romane Michele Plastino detto Reverendo Lacrima, non si possa esulare dal pathos. Aggiungere anziché sottrarre. Esagerare. Rischiare. Qualcosa resterà. Gli rimproverano nebbia sparsa ad arte sulle sue esperienze politiche giovanili (due passi tra i radicali, precipitosa fuga dai socialisti) e più in generale, l’evasione dalla gabbia di un ruolo precostituito senza capire che non esiste nulla di più immobile di una mobilità premeditata. Dopo averlo elogiato, Aldo Grasso lo ha demolito. Attaccandolo con violenza dialettica. "Comico", "maritino di miss cotto e mangiato", "narciso", "guitto da avanspettacolo".
Caressa se ne frega. Si dice certo di aver svelato l’arcano dell’accanimento: "So perché Grasso ce l’ha con me, ma preferisco non rivelarlo", e si gode quello che i calciofili hanno chiamato con relativa fantasia: "Il cul de Cas". Il ragazzone che non desidera morire telecronista, il timbro vocale trasformato in suoneria telefonica, il vitellone che tira tardi ha avuto fortuna. Dividendo con la moglie lo spiazzo in cui fluttuare come Forrest Gump del piccolo schermo, da una città all’altra, da Sud a Nord, di stacco in stacco. Sono popolari, non disdegnano le parolacce, bevono birra, hanno amici senza doppio cognome e per le vacanze riempiono il bagagliaio in direzione Riccione. Tanto poi, si ritorna a Milano 2.