Antonio Carlucci, L’espresso 10/2/2011, 10 febbraio 2011
MOLTO POCO FLORIDA
Rick Scott, creatura dei Tea Party e governatore repubblicano della Florida dal 3 gennaio scorso, si è voluto subito distinguere da tutti i suoi predecessori. Lui è stato eletto sull’onda di un diffuso sentimento anti-governo, anti-spesa pubblica, super individualista e così, appena dopo aver giurato sulla Costituzione, ha cercato l’applauso a scena aperta buttando in pasto all’elettorato questa decisione: "Come avevo promesso, ho deciso di vendere i due aerei di proprietà statale che consentiranno un risparmio annuale di 2,4 milioni di dollari. Da oggi chi deve viaggiare per ragioni di ufficio userà i voli commerciali o l’automobile". Niente più jet Cessna Citation o turboelica Beech King per ministri e alti funzionari statali. Vale anche per il governatore? Non scherziamo! Per i suoi viaggi politici, Scott utilizzerà il suo jet personale, un bireattore Beechcraft 450, ma non ha specificato in modo inequivocabile che i costi dei viaggi li pagherà sempre di tasca sua. Ha soltanto sottolineato che anche i piani di volo delle missioni ufficiali non saranno resi pubblici.
Rick Scott interpreta alla perfezione lo stereotipo del politico dell’America dell’opposizione populista a Barack Obama. Ex avvocato esperto di fusioni societarie, ex imprenditore della sanità e di molte altre cose inclusa un’azienda che fa affari con le rimesse di denaro degli immigrati clandestini e un’altra che favorisce incontri via Internet della comunità gay, con un patrimonio personale di oltre 200 milioni di dollari, quando ha deciso di entrare nell’arena politica dove non aveva mai toreato, ha presentato questo biglietto da visita: "Il governo è nemico della prosperità". Per chi non avesse capito subito e bene, è entrato più a fondo nella sua filosofia politica: "Tasse, regole e conflittualità sono gli assi portanti della disoccupazione". Ovvio, allora, che la sua promessa sia stata giù le imposte e meno intrusioni governative attraverso leggi e regolamenti. I commentatori politici dei maggiori giornali della Florida e i blogger più seguiti hanno con poche differenze disegnato con questa immagine la natura di Scott: è come quelle persone con cui scambi due parole al bar bevendo un caffè e quale che sia l’argomento - economia, lavoro, criminalità, immigrazione, sport - hanno pronta una soluzione in tasca.
La base culturale di politici come Scott è abbastanza facile da ricostruire. È quella che si forma con impressionante frequenza in tutti quegli imprenditori che decidono di scendere in politica: ritengono di essere ottimi sindaci, governatori, premier o presidenti solo perché sono stati al vertice di una qualche azienda. Come si siano comportati o come abbiamo fatto i soldi, per loro è un dettaglio secondario. Qualche volta gli elettori non credono a questo teorema e bocciano il candidato, come è accaduto con Meg Whitman, l’ex amministratore delegato di eBay che ha speso quasi 150 milioni di dollari del suo patrimonio, ma ha perso la corsa a governatore della California. Qualche volta la fiducia viene accordata, come è accaduto a Scott che sul tavolo elettorale ha messo oltre 60 milioni di dollari del suo patrimonio e ha vinto sul suo avversario democratico con il più piccolo margine di voti (70 mila) della storia della Florida.
Rick Scott è diventato governatore mentre il Sunshine State ancora arranca per uscire dalla recessione. Con la crisi del 2008 si è anche accesa una ulteriore spia di pericolo: dopo una lenta ma costante crescita della popolazione dello Stato legata alla scelta degli americani di trasferirsi in Florida nella speranza di una vita migliore e meno costosa, nel biennio 2008-2009 è stato registrato un calo nei residenti con l’emigrazione di quasi 60 mila persone. Quello che nell’immaginario collettivo si è sempre presentato come lo Stato delle spiagge e delle vacanze, dei pensionati che si godono al sole gli ultimi anni di vita, dei parchi divertimenti e dell’agricoltura di qualità, viene così fotografato dal professor Sean Snaith, il direttore dell’Istituto per la competitività economica della University of Central Florida: "Siamo entrati in recessione prima di tutti e ne usciremo per ultimi. C’è una brutta cicatrice sulla nostra economia ed è il mercato del lavoro".
La Florida svetta nei primi posti della classifica americana sulla disoccupazione. Se alla fine del 2010 gli Stati Uniti hanno fatto segnare un preoccupante 9,4, il Sunshine State era al 12 per cento: questo significa un milione e 100 mila lavoratori a spasso su una forza lavoro complessiva di sette milioni. Ai disoccupati si aggiunge il preoccupante fenomeno delle case ipotecate e portate via ai proprietari che non riescono a pagare le rate del mutuo. Questo è accaduto dappertutto negli Usa, anzi è stato il segnale che la recessione arrivava come fosse una nuvola di cavallette che distrugge tutto quello che incontra sulla sua strada. Nel solo 2010, su quasi tre milioni di case portate via ai proprietari in tutto il Paese, in Florida si contano 485 mila 286 unità abitative messe sotto sequestro. In più, il mercato immobiliare ha fatto segnare un meno 47 per cento nei prezzi delle transazioni.
Il governatore è arrivato a Tallahassee con il piglio del Chief Executive Officer di una multinazionale e molte promesse, anche se il deficit di bilancio di quest’anno sarà tra i 3 e 4 miliardi di dollari. Soluzione? Giù le tasse, a cominciare da quelle sui profitti delle società e sugli immobili, oltre che quelle che le aziende pagano (75 dollari per ogni dipendente) per alimentare un fondo di tutela dei disoccupati. E ancora: bloccati i contratti già approvati per un importo superiore al milione di dollari, ogni nuovo assunto passato al vaglio di un programma federale che dovrebbe individuare gli immigrati clandestini, un dipartimento nuovo di zecca per controllare tutti i ministeri e tutte le agenzie del governo della Florida. Ma quest’ultima manovra gli si è subito ritorta contro perché tre ministri - Palm Bondi della Giustizia, Jeff Atwater delle Finanze e Adam Putnam dell’Agricoltura - hanno risposto così: "I nostri uffici condurranno una revisione indipendente dei regolamenti e non li sottoporranno al governatore". Commenta Susan MacManuc, professore di scienze politiche ed amministrazione alla University of South Florida: "I governatori hanno sempre voluto il controllo su tutte le agenzie. Ma dal punto di vista costituzionale non possono. E infatti non ci sono mai riusciti".
Sin dai giorni della campagna elettorale, ed oggi ancora di più, la domanda su Rick Scott è una sola. Ma davvero la sua precedente esperienza di businessman è una garanzia di buon governo e di uscita dalla crisi economica? Se gli elettori avessero dovuto dare retta a un politico dello stesso campo di Scott, ovvero il repubblicano Rudy Giuliani, ex sindaco di New York ed ex candidato alla presidenza, non avrebbero dovuto votarlo. "Non è un tipo che dovrebbe fare il governatore. E poi, che credibilità può avere uno che combatte la riforma della sanità di Obama quando ha avuto un problema gigante con la più grande frode sanitaria della storia d’America?". Il buco nero di Scott si chiama Columbia Hca Corporation, di cui era amministratore delegato e che gestiva o era proprietaria di quasi 500 tra ospedali e cliniche specializzate negli Usa. Nel 1997 Scott fu messo alla porta dal consiglio di amministrazione dopo che l’Fbi aveva occupato militarmente i suoi uffici principali su ordine del ministro della Giustizia. Nel 2002, l’indagine si concluse con la più grande multa mai comminata a una compagnia: 1,7 miliardi di dollari per aver falsificato e aumentato fatture su prestazioni mediche, inventato interventi e ricoveri per pazienti inesistenti e attività di medici mai poste in essere.
Rick Scott non ebbe nessuna conseguenza penale, anzi il licenziamento dalla Columbia Hca lo fece ricco (300 milioni di dollari di buonuscita tra contanti e azioni). Si mise in proprio, sempre in campo sanitario, con la Solantic, che gestiva una trentina di cliniche in Florida. Ma il suo temperamento e la sua cultura aziendale hanno creato seri problemi: dal 2001 fino a pochi giorni prima di rendere pubblica la sua candidatura a governatore, Scott ha collezionato dieci cause civili che si sono tutte concluse con il pagamento di importanti risarcimenti e una ferrea clausola di riservatezza che impedisce di conoscere i particolari dei conflitti. Ma si è saputo che alcune hanno avuto per protagonisti dipendenti vittime di discriminazioni di razza e sesso, altre gli stessi medici delle cliniche dei quali la Solantic ha abusato nell’uso dei loro record (servono per i rimborsi dalle assicurazioni). Un’altra notizia sfuggita alle maglie del controllo ferreo che Scott esercita sulle sue attività è quella fornita da John Hopkins, un blogger di West Palm Beach che si occupa di questioni mediche e sanitarie: dagli anni Novanta a oggi il governatore si è avvalso 75 volte del Quinto emendamento della Costituzione, quello che consente di non rispondere alle domande di poliziotti e procuratori se le parole portano all’auto incriminazione.
Quello che appare sicuro è che Rick Scott appartiene a quella categoria di politici cui piace stabilire regole che sono valide solo per gli altri e che non valgono per lui stesso. Provate a parlargli dello stimolo fiscale del governo federale, ovvero quel fiume di miliardi di dollari che Barack Obama ha speso cercando di far ripartire l’economia e che è uno dei punti di frizione con i repubblicani. "Non ha creato un solo posto di lavoro", disse il 3 settembre del 2010, "e non sono soldi gratis perché i nostri figli dovranno ripagarlo negli anni a venire". Peccato però che la Xfone, una società di comunicazioni della quale Scott aveva un importante quota, abbia tranquillamente accettato oltre 60 milioni di dollari della stimolo fiscale della Casa Bianca. E proprio grazie a quella iniezione di liquidità che aveva consentito nuove assunzioni e nuovi contratti con le sue azioni vendute in parte a valori maggiori rispetto ai tempi precedenti ai soldi ricevuti dal governo. Ma questa è un’altra storia.